Pochi giorni fa è scomparso il nostro carissimo Pier Fausto Vedani. Eccone un ritratto dal libro “La sciarpa verde” di Massimo Lodi, edito da Lativa. Il capitolo è intitolato “C’era un ragazzo”
C’è un ragazzo, all’inizio degli anni Cinquanta, che spesso da Como viene in visita a Varese. L’accompagnano il papà Silvio, dirigente della Fabbrica Italiana Seterie Alberto Clerici, la più grande industria tessile lariana, e la mamma Rosetta. Passeggiano nel parterre dei Giardini estensi, dov’è possibile ammirare giochi d’acqua nella grande fontana di fronte al palazzo che fu di Francesco III; frequentano la tribuna dell’ippodromo delle Bettole, affollato nella stagione estiva dai varesini, ma soprattutto dai forestieri che vi vengono a scommettere forte; salgono di tanto in tanto al Sacro Monte perché lì, dentro il monastero delle Romite, trascorre i suoi giorni nella meditazione della clausura suor Gertrude Bonfanti. E’ la nipote di Pietro Vedani, il nonno di Pier Fausto, che è il ragazzo neppure ventenne cui non dispiace di farsi scortare dai genitori in questo girovagare per il gusto del quieto diporto e per il richiamo degli affetti familiari.
A Pier Fausto Varese rimane nel cuore. Vi ritorna qualche anno dopo sospintovi dall’amore verso lo sport e verso il giornalismo. Ha trovato lavoro al “Corriere della Provincia” di Como, edizione settimanale del quotidiano “La Provincia”, e scrive anche per il “Gazzettino” di Venezia. Si occupa di cronache di basket e di calcio, soprattutto quando a essere impegnate a Varese sono le squadre venete. E alla “Casa dello sport” e allo stadio “Ossola” avviene la conoscenza con Mario Lodi. Dopo un Varese-Triestina finito 1-0, Vedani deve telefonare i servizi, c’è difficoltà a trovare un apparecchio disponibile, Lodi gli offre ospitalità nella redazione della “Prealpina”. Nasce qualcosa di più d’uno spirito di colleganza: nasce un’amicizia.
Lodi racconta a Vedani della dedizione non solo professionale che lo lega al Varese: è stato lui, nel ’54, a promuovere un’inchiesta sul giornale locale per salvare la società ch’era praticamente scomparsa. Finita in prima divisione, retta da un commissario straordinario, pareva non avesse più prospettive. Invece i lettori, gli appassionati, la città rispondono all’appello lanciato dalla “Prealpina”. Il 15 ottobre all’albergo “Manzoni” viene ricostituito il nuovo Varese, presidente è eletto Giovanni Marini, la carica d’allenatore va a Piero Magni, i due chiedono a Lodi di dargli una mano. Ottengono assai di più. In anni successivi Luigi Orrigoni proporrà all’ormai ex direttore della “Prealpina” -in riconoscenza dei suoi lontani meriti biancorossi- di fare il presidente del club, ma gli verrà replicato con un cortese diniego: «Alla mia età è meglio respirare l’aria leggera nella tribuna sotto il Sacro Monte che quella pesante d’un ufficio».
Vedani ha origini in parte varesine. Il nonno Pietro, ispettore delle Ferrovie dello Stato, abitava sulla collina di Bosto, nella Curt di Romàn, e un ramo della famiglia aveva scoperto la vocazione imprenditoriale nel settore della maglieria. La moglie di Pietro, Genesia, era imparentata con i Bernasconi fabbricatori d’organi. Pier Fausto decide invece di fabbricarsi una vita tutta sua, e di ascoltare soprattutto il suono d’un organo atipico qual è il giornalismo. Gli piace curiosare, conoscere, indagare. Non sa ancora d’avere nel sangue il “dna” del cronista, ma sa che una misteriosa voce gli dice che quella dello scoprire e dello scrivere è la sua vocazione. E vi risponde con entusiasmo: compirà un percorso personale e professionale lungo e appagante.
Fa l’apprendistato a Como, dove all’inizio degli anni Sessanta entra come praticante alla “Provincia”, ma l’assorbente lavoro di cronista non gl’impedisce di continuare la frequentazione domenicale con Varese, i suoi impianti sportivi, le sue traballanti tribune stampa, i suoi cronisti dal tratto umano di speciale simpatia: anche la conoscenza con Bruno Minazzi, che scrive per “Stadio”, e con Ettore Pagani, corrispondente della “Gazzetta dello Sport”, si trasforma in amicizia. La stessa che s’accende con i colleghi della “Prealpina” Morgione e Fasolino: caldeggeranno loro due a Lodi l’assunzione di Vedani quando, nel ’63, in via Ghiringhelli si renderà libero un posto, avendo deciso Montonati di lasciare la “Prealpina”.
Vedani debutta il 16 ottobre. Sarà, con Morgione, il collaboratore più fidato del direttore per vent’anni e ne riceverà l’eredità, succedendogli alla guida del giornale proprio un 16 ottobre (quello del 1983) e proprio per desiderio di Lodi. Del quale sa ammorbidire gli spigoli caratteriali, vedendosi assegnare mediazioni diplomatiche che gli conquistano presso di lui il titolo di “prevosto” e presso i colleghi quello di “cardinale”. Investiture che Vedani provvederà peraltro a dissacrare, assurgendo al ruolo d’insuperato maestro di birichinate. I suoi scherzi sono rimasti memorabili: telefonate fasulle di mortifero effetto, fogli di carta delle macchine per scrivere incendiati durante la battitura d’un articolo, svitamenti di targhe automobilistiche e molto altro ancora. Capitò perfino che il direttore, vista l’inutilità dei richiami verbali, dovette distribuire una nota ufficiale di servizio nell’intento di fermare la battaglia con pistole ad acqua che infuriava in redazione nelle ore notturne, durante l’attesa della chiusura delle pagine. Furono tuttavia quegli eccessi di cameratismo a ridurre i difetti che s’accompagnano alla confezione d’un quotidiano, e a fare d’un gruppo eterogeneo di giornalisti una squadra destinata a vincere molto in edicola. E a non perdere mai di vista il significato della parola umanità.
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