A 95 anni Emilio Bortoluzzi se ne uscì con un libro di poesie, non una sfida ma per lui un fatto normale, abitudinario, come salvare una vita o infondere coraggio a un malato. “Fuori scala” si chiama il volumetto, edito da suo figlio Alberto, pure cantato in versi nella sua antica raccolta “In viaggio”, stampata da Scheiwiller e prefata da Piero Chiara.
Lo dedicò “A Colei”, la moglie Stefania collega anestesista negli anni eroici della rianimazione all’Ospedale di Circolo, che lui diresse fino al 1989 tanto da meritare la dedica dei reparti di Terapia intensiva, come testimonia la targa commemorativa inaugurata nel dicembre 2018 dal fratello allora centenario Bepi Bortoluzzi.
Emilio ci ha lasciato il 1° marzo 2018, gli anni erano 97 e la salute già precaria, e dopo un lustro la sua memoria è vivissima, grazie ai figli Elisa, Alberto e Chiara e alla compagna di una vita, Stefania Longoni, squisita padrona di casa nelle feste musicali che spesso capitavano nella settecentesca dimora di Velate, dove il medico lasciava il posto all’umanista. Piccoli concerti, con ospite il nipote Pietro, valente violinista, o anche amici pianisti e cantanti, la cortesia del tempo antico e la semplicità dell’accoglienza, nella piena tradizione della Hausmusik di ottocentesca memoria, perfetta in quegli ambienti caldi di vita vissuta. Non a caso Fabio Sartorelli, amico di famiglia e direttore artistico della Stagione musicale comunale, dedica ogni anno uno dei concerti in cartellone alla memoria di Bortoluzzi.
Lui era sempre in prima fila, da grande appassionato e mecenate di musica, se non lo vedevi subito, ascoltavi da lontano la sua voce fonda di baritono e la caratteristica risata trasmessa alla figlia Elisa, come il culto per le arti e la bellezza portato avanti da Alberto, fotografo pluripremiato a livello internazionale.
Il medico illustre nascondeva ma non troppo l’animo indagatore del poeta, con dodici raccolte di versi incominciate appunto nel 1973, con “In viaggio”, e terminate nel 2016, con “Fuori scala”: nel mezzo pregevoli prove quali “Nel buio”, “Due vite”, “Istanti”, “Il lato più in ombra” o “L’anello”. Teneva molto ai suoi libri, li inviava agli amici con dedica, chi scrive ne ha recensiti diversi e ne possiede l’opera omnia, custodita nella sezione della biblioteca dedicata ai varesini illustri.
La sua è una figura ormai estinta, quella del medico amante delle lettere e del Bello, di una sinfonia come di un quadro, oppure del sorriso di chi gli stava di fronte. Il Professore era un uomo appassionato del suo lavoro, un pioniere della rianimazione ma anche un attento padre di famiglia e un amante della vita in ogni sua declinazione, dei viaggi di scoperta, come quello in una Cina in preda a violente trasformazioni, in cui spesso coinvolgeva Alberto, anche lui curioso del mondo e dei suoi perché.
Emilio Bortoluzzi faceva parte della folta schiera dei medici scrittori, che conta nomi illustri, da Rabelais a Cecov e Céline, da Cronin al grande Conan Doyle, fino, in tempi più recenti, ai nostri Carlo Levi, Giulio Bedeschi e Andrea Vitali, per non tacere del gaviratese Romano Oldrini, che unisce la prosa al verso poetico.
Nella prefazione di “In viaggio”, Piero Chiara scrisse di lui: «Egli vuol dire che la vita è un viaggio e che il viandante è il poeta, cioè l’uomo, sempre in cerca dei principi o della sostanza dell’universo». E l’uomo, Emilio Bortoluzzi lo cercò sempre, un po’ come Diogene, dentro e fuori sé stesso, vivendo due parallele vite, di scienziato e di letterato, con la stessa passione e curiosità, lasciando il ricordo di una generosità feconda. Immaginò la fine in musica, al suono della Pavane di Maurice Ravel, come recitano i versi di una poesia di “Fuori scala”: «Ravel… Le note/ della Pavane…/ (Sensazione di chi/ -la sua tristezza-/ tutta una vita/ stia rivivendo…».
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