«Non ci hanno visto arrivare»: una colta citazione nelle prime parole di Elly Schlein alla guida del PD. La neo segretaria eletta ha chiamato in causa Lisa Levenstein, docente di storia all’Università della North Carolina, direttrice del programma sugli studi di genere e autrice di saggi sul femminismo, colei che ha teorizzato la “rinascita” del movimento proprio negli anni in cui sembrava aver raggiunto definitiva requie.
«Non ci hanno visto arrivare» è una frase che evoca sorpresa, soppiatto, calcoli errati da parte di qualcuno. È una compiaciuta “puntura” che si addice alle tempeste, non alle pioggerelle, ad avventi fragorosi, tanto nascosti e inaspettati quanto sensibili di sconvolgere lo status quo. Ed è quindi perfettamente calzante al presente e al potenziale futuro del mondo democratico.
Non l’hanno vista arrivare nei circoli, lei che ha vinto sulla strada, favorita da quegli elettori che sono la prova provata dell’esistenza di una sinistra rimasta sull’Aventino per anni, silenziosa e imbronciata davanti a un partito che ha cercato altrove equilibrio e successo, eppure ancora viva. Anzi, determinante: talmente determinante da cambiare il corso della storia.
Il nuovo PD targato Schlein promette diversità sostanziali e formali, radicalizzazione su principi e diritti, zero compromessi: sarà a immagine e somiglianza della sua nuova leader, il prototipo di una gauche 4.0 che parte dai movimenti e cresce nella proteste di piazza, ma al contempo si sente europea, viaggia, parla l’inglese, studia e si abitua a respirare un’aria globale, al massimo glocale.
Strada proficua per riconquistare consenso e istituzioni? Presto per dirlo… Si tratta di certo di un sentiero opposto a quello che i dem avrebbero imboccato con Stefano Bonaccini, che nell’immaginario collettivo è stato identificato come un clone di chi negli anni si è assiso via via sul trono, da Bersani a Letta, passando per Zingaretti. Bonaccini avrebbe rappresentato una continuità che non ha portato alcun frutto a livello nazionale, capace però di produrre abili e stimati amministratori in Comuni e Regioni.
Ed è allora normale che anche a Varese, terra che ha sperimentato un PD vecchio stile ma talmente convincente da spezzare le reni alla pluridecennale egemonia leghista, si faccia la conta tra vincenti e sconfitti di queste primarie, cercando di vaticinarne il destino.
Nella partita delle primarie hanno “perso” Samuele Astuti, che due settimane fa ha sbaragliato la concorrenza alle Regionali, conquistando ben 8.384 preferenze e staccando ogni avversario dentro e fuori un PD che (altro dato su cui ragionare) nel Varesotto ha “retto” rispetto alla disfatta riscontrata in altri territori, e il parlamentare Alessandro Alfieri, il quale ha commentato le consultazioni interne con «preoccupazione», sottolineando la contraddizione tra il risultato ottenuto tra gli iscritti e quello tra gli elettori. Con loro anche l’assessore varesino Andrea Civati, coordinatore della mozione che ha fatto capo al governatore dell’Emilia Romagna.
Chi ha vinto? Luca Carignola, segretario cittadino, rimasto fuori dal Consiglio Regionale proprio a opera di Astuti, e due giovani come Michelangelo Moffa, segretario provinciale dei Giovani, e Helin Yildiz, coordinatrice della mozione Schlein, destinati ad avere un peso maggiore da qui in poi nelle simmetrie democratiche locali.
La curiosità politicamente più gustosa punta però su Davide Galimberti. Dove e come si posizionerà il sindaco di Varese, che pochi giorni or sono – nel ricordare in Comune il compianto Giancarlo Pignone, fondatore varesino di Azione scomparso un anno fa – ha fatto intendere di condividere il rammarico che lo stesso Pignone avrebbe provato davanti alle «divisioni che oggi caratterizzano l’area culturale del centrosinistra» (leggi le rette parallele su cui ormai viaggiano il PD e l’asse Azione-Italia Viva)? Con Schlein da una parte e Renzi più Calenda dall’altra assistere a una riappacificazione sarà più difficile che ammirare una nevicata agostana in pianura… E allora non è di secondaria importanza l’analisi della nebulosa incertezza che concerne il domani di chi – nel PD di “centrocampo” – ci è stato da re e, anzi, avrebbe volentieri guardato con ancor più interesse alla fascia subito a destra degli schieramenti…
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