In questi ultimi tempi, gli osservatori più attenti sono stati attirati da alcuni fatti che hanno incrinato i nostri già ardui rapporti con l’Europa e, in modo particolare, con la Francia. Dapprima un membro del Governo ha dichiarato che l’asse franco-tedesco è ormai superato e che occorre stabilire nuovi equilibri in Europa, senza peraltro specificare quali ne siano obiettivi e partecipanti. Successivamente, la Presidente del Consiglio, piuttosto irritata, ha alzato un po’ i toni contro il suo omologo francese perché non invitata ad una cena di lavoro a cui partecipava il cancelliere tedesco. Infine, mentre le urne elettorali erano ancora aperte, un suo predecessore, il cui partito sostiene l’attuale maggioranza, ha dichiarato a giornalisti e radiocronisti appositamente convocati all’uscito del seggio, che se fosse stato Presidente del Consiglio in carica non avrebbe inviato armi all’Ucraina.
Tre fatti che hanno contribuito a rendere meno credibile la politica estera italiana e a isolare il nostro governo all’interno dell’Europa, nonostante le sue affermazioni ferme e decise all’adesione alla politica europea ed occidentale.
Sappiamo bene che l’Europa deve offrire risposte comuni alle sfide alle quali deve far fronte: la guerra in Ucraina, gli aiuti umanitari in Turchia e Siria devastate da un mai visto cataclisma, la crisi energetica, l’inflazione, la disoccupazione soprattutto giovanile, l’immigrazione, la lotta alle vecchie e nuove povertà, la nostra fragilità economica. Mancavano pure gli improvvidi interventi dei tre politici italiani per rendere ancora più ingarbugliata la matassa i cui fili dovrebbero essere sbrogliati per giungere ad un’autentica, schietta e ben radicata unità.
Già l’estensione dell’Unione a numerosi paesi del centro e est dell’Europa desta preoccupazione per la loro disponibilità a difendere gli interessi nazionali nel rispetto di tuti i paesi; la riunificazione della Germania e il passaggio di mano del governo di Berlino dalla generazione di Kohl a quella della Merkel è stata interpretata come la superiorità su tutti gli altri e quindi alla loro vocazione a decidere per tutti; a queste due contese si aggiunge ora il progressivo indebolimento del ruolo dell’Italia dovuto alla nostra incapacità di fare le riforme. Per salvare la costruzione europea occorre modificare alcune regole di funzionamento, anche se alcuni paesi sono allergici a questa pratica. Occorre costituire una massa critica di Paesi sinceramente europeisti, contrari alle posizioni di egemonia e in grado con la loro compattezza di convincere la Germania. L’Italia potrebbe essere cruciale per far uscire dall’immobilismo, ma non è con i giri di valzer né con il battere i pugni sul tavolo che si possono costruire le intese, anzi molti nostri alleati temono che l’Italia possa oscillare verso i sostenitori di un negoziato con Mosca.
Il lettore legge queste note nel giorno anniversario dell’invasione russa nei territori ucraini e penso al logoramento fisico del popolo, che non ha infiacchito il suo spirito di libertà inducendo i russi ad arrestare dopo poche settimane l’avanzata e all’autunno segnato da successi militari della controffensiva ucraina, ai quali i russi hanno opposto bombardamenti violenti e periodici sui grandi centri abitati, senza distinzioni tra obiettivi civili e militari. Gli ultimi giorni di guerra hanno visto i russi ritirarsi strategicamente da Kherson e prendere tempo per riorganizzarsi prima di una nuova offensiva.
Tutti desideriamo una pace equa e duratura. La fornitura di armi agli ucraini non basta. Gli appelli alla pace di papa Francesco non sono stati raccolti; Erdogan è alle prese con i gravi problemi interni, Putin condiziona qualsiasi negoziato al riconoscimento dei territori annessi alla Russia, Zelensky confida sugli aiuti degli USA, la Cina dichiara di rispettare l’indipendenza dei popoli…
E l’Europa? Parafrasando un proverbio francese direi che l’Europa ha bisogno di appendere il suo aratro ad una stella. Ha bisogno di smettere di polemizzare sull’economia e di trovare le ragioni profonde per stare assieme. Ha sì bisogno di sforzi necessari per far crescere l’economia, ma più ancora di trovare un senso all’adesione riformando i suoi trattati, di reperire lo slancio del cuore e dello spirito.
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