Sono un antidoto alla labilità della memoria le antologie di cronache milanesi di Franco Tettamanti, giornalista di vaglia e narratore di talento, uno specialista del ramo. La sua memoria sperimentata sul campo in veste di cronista (Il Giornale nuovo, La Repubblica, Il Corriere della Sera) e quella rintracciata, rivisitata e riproposta scavando con perizia negli archivi dei giornali dove ha lavorato per decenni. Lo ha fatto quasi sempre nel breve spazio di un paio di colonnine in cronaca mischiando due ingredienti fondamentali del mestiere di giornalista: la curiosità per le vicende, grandi e piccole, delle persone, dei luoghi, degli accadimenti e il rigore nel raccontarle attraverso una ricostruzione puntuale e precisa di quanto accaduto.
Il tutto con una scrittura agile, di facile lettura, quasi colloquiale. Pezzi chiari e fantasiosi i suoi. Quasi istantanee stampate su carta, leggermente virate al color seppia, talvolta ironiche, spesso velate da una tenue malinconia. Nelle tante categorie in cui si articola la professione giornalistica direi che Franco, amico da una vita, occupa a pieno titolo il ruolo di memorialista, ovvero un collega che più di altri per destino, cultura e fortuna possiede la consapevolezza profonda che tutti i nostri oggi sono frutto dei nostri ieri, personali e collettivi.
Nell’arco di tanti anni ce lo ha ricordato sommessamente, con garbo, senza mai cedere alla nostalgia fine a se stessa, al passatismo a buon mercato. Anche il suo ultimo lavoro evita accuratamente questo rischio. “Storie fuori dal comune”, Macchione editore (presentazione alla libreria Ubik di Varese sabato 11/3 alle ore 11.00) si aggiunge con assoluta coerenza ai fratelli maggiori che lo hanno preceduto: “Questa volta non scendo, L’ultima nuvola a sinistra, Era solo ieri, Cose dell’altro secolo”. Milano come epicentro della narrazione che con le sue tante storie, i suoi infiniti personaggi fa la parte del leone anche in quest’ultimo libro, ma lo sguardo si allarga, si affaccia anche oltre i confini della metropoli per qualche occhiata in provincia. A Varese dove Franco è tenacemente di casa, in Brianza sulle orme di un sacerdote, Don Beretta, con la passione per la storia, a Luino prodiga di letterati, comici e poeti.
Resta comunque formidabile il pezzo pubblicato su Repubblica il 3 aprile del 1999, un ritratto rapido, allegro e vibrante della capitale lombarda in crescita negli anni’50, ma sempre saldamente ancorata alle sue radici linguistiche, alla milanesità più schietta. Scrive: “…Gli anni sono duri, molti milanesi si trovano a pan e pessit (con poco da mangiare). Chi è riuscito a taccà sù el cappel (ha sposato una ragazza ricca) vive tranquillo… Il lattaio si chiama lattee, il salumiere cervellee, il ragioniere ragiunatt, lo straccivendolo strascee, l’idraulico trombee.
Come nei libri precedenti anche in questo è di grandissimo aiuto un indice molto giornalistico con titoli precisi che fanno capire al volo di che cosa si tratta. E quindi si può scegliere con cognizione di causa andando avanti e indietro a piacimento tra le 198 pagine del volume. Già perché il Tetta, irriverente ma affettuoso appellativo delle redazioni, era anche un ottimo titolista come confermano gli amici del Corriere. Solo che per lui stare troppo a lungo in redazione era come per un calciatore stare a tempo indeterminato in panchina e i fantasisti della vita e del calcio, si sa, intristiscono prima degli altri e spesso in maniera irreversibile.
Dargli spazio, lasciarlo giocare libero da impegni di marcatura – come si dice in gergo pallonaro – è stata una fortuna per lui, per i giornali dove ha lavorato, ma anche per i lettori che possono godere delle sue cronache milanesi. Rivisitate.
You must be logged in to post a comment Login