Gli esperti di organizzazione del lavoro sono unanimi nel sostenere che l’ospedale rappresenti il tipo di azienda più complessa che esista e questo per due ordini di motivi: la grande varietà di servizi che lo compongono e che concorrono alla realizzazione delle sue finalità e l’elevato grado di autonomia professionale con il quale gli operatori svolgono i compiti loro affidati all’interno della organizzazione.
Da ciò ne deriva che uno degli aspetti fondamentali da cui dipende il buon funzionamento di un ospedale sia rappresentato proprio dal grado di collaborazione che si realizza al suo interno.
Il primo di aprile del 1981 prendevo servizio con trepidazione per il mio primo incarico professionale nella Clinica di Medicina Interna e Riabilitazione di Bad Peterstal in Germania, una amena località della Foresta Nera, dove ho lavorato fino al dicembre del 1984. In seguito ho prestato servizio in altri nove nosocomi, in quattro diverse nazioni, oltre alla Germania e all’Italia, anche in Paraguay ed in Israele, in ospedali piccoli e grandi. Di certo non mi sono “fossilizzato” in una determinata realtà ospedaliera ed ho esperimentato forme tra loro diverse di organizzazione e, soprattutto, ho avuto la possibilità di conoscere e collaborare con tanti colleghi, dai quali ho imparato sempre qualcosa, in particolare dai primari con cui ho lavorato, il dottor Huber ed il Professor Herberg rispettivamente a Bad Peterstal e a Offenburg, il dottor Pasquale Perrotta prima ed il dottor Pietro Merlo poi a Cittiglio; da quando, a partire dal dicembre 2002, ho assunto una responsabilità primariale, ho sempre cercato di favorire la piena corresponsabilità dei miei collaboratori, medici ed infermieri, nella consapevolezza che solo insieme e di comune accordo potevamo rispondere in modo adeguato ai bisogni dei nostri pazienti.
Una esperienza di condivisione umana e professionale paradigmatica è stata per me quella di Villarrica, in Paraguay, dove con altri quattro colleghi italiani, sono andato nel febbraio del 1987, per collaborare con la locale Università Cattolica nella realizzazione di un Ospedale e di un corso di laurea per medici e per infermieri, assumendo l’incarico di direttore dell’Ospedale Espiritu Santo.
Nei quattro anni in cui ho vissuto e lavorato lì ho imparato molto; scherzando dicevo che, mentre tanti paraguayani andavano a specializzarsi all’estero, io ero andato a “generalizzarmi” in Paraguay, ad imparare cioè a tener conto di tutti i fattori in gioco e non solo del mio particolare.
Nell’Ospedale di Villarrica eravamo come una grande famiglia, capace di accogliere coloro che si rivolgevano a noi, per la maggior parte poveri “campesinos” della zona, i quali percepivano che lì c’era qualcuno che li accoglieva e trattava da uomo a uomo.
Una grande famiglia fondata sul fondamento della fede: il riconoscimento della presenza di Cristo vivo ed operante tra noi.
Un ospedale per realizzare la sua propria missione deve essere abitato da una famiglia ospedaliera, ma la famiglia per essere tale deve riconoscere il fondamento su cui sorge; si tratta proprio di una missione, un compito che viene affidato da Uno che ci dice “chi accoglie questo paziente nel mio nome accoglie me”.
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