Non in riva al lago.
In paese.
All’inizio del pomeriggio.
Arrivavi da Luino scendendo la ‘Sponda Magra’.
Entravi a Porto (Valtravaglia, ovviamente) e giravi a sinistra.
Prima di arrivare all’acqua.
Una casa usata.
Usata bene.
Una cucina grande.
Accogliente.
E l’attesa che Nanni si alzasse.
“Un riposino”, diceva invariabilmente, chiedendo venia, l’amabile consorte.
E d’un tratto Nanni appariva.
Un fiore.
E via.
Anni lontani, quelli delle nostre frequentazioni.
Spettacoli, i suoi di allora, ai quali voleva premettessi qualche parola.
Inutili introduzioni, ben lo sentivo, le mie alla coinvolgente loquela che lo caratterizzava.
Alla capacità che aveva, prima di cominciare a cantare e recitare, di introdurre e contestualizzare lasciando forte traccia.
Trascorso il tempo.
Rarefatti gli incontri.
L’ultima volta – poco fa invero – me lo trovai all’improvviso di fronte in centro.
A Varese.
Meglio sarebbe non rivederlo.
Smarrito e guardingo.
Alterato.
Mi tenne lontano parlando a fatica di un possibile contagio.
Di non si sa in quale epidemia ci fossimo, non dico abbracciati, ma anche solo stretti la mano.
E si affrettò via.
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