L’ultima volta era stata quasi ventiquattro anni fa. Settembre 1999: dopo il decimo scudetto conquistato pochi mesi prima, la Pallacanestro Varese si era accaparrata anche la Supercoppa Italiana, battendo a Masnago la Virtus Bologna.
Chi scrive era lì, giovane tifoso biancorosso, con il cuore satollo della gioia per la Stella che i suoi beniamini si erano appuntati sul petto l’11 maggio precedente, ma anche con la consapevolezza che quello sarebbe stato già il canto del cigno per la Varese tricolore, smembrata e privata di pezzi insostituibili del proprio puzzle vincente, a partire dal Cunctator Carlo Recalcati.
Nessuno quel giorno, però, lui compreso, avrebbe ipotizzato che da lì in poi la Città Giardino sarebbe stata messa a digiuno per quasi un quarto di secolo: niente trofei, da qualsivoglia sport. Un inedito, per una piccola realtà di provincia che, tuttavia, grazie al suo sodalizio cestistico, ai trionfi in Italia, in Europa e nel mondo, si era ben abituata, tanto da pazientare tra uno e l’altro al massimo qualche manciata di stagioni.
A spezzare l’incantesimo, a riportare indietro le lancette del tempo alle sensazioni di grandeur in un contesto che, dalla forza imprenditoriale in giù, è irrimediabilmente mutato, è stato pochi giorni fa un vecchio amore di tanti varesini, l’hockey su ghiaccio.
I Mastini hanno conquistato la Coppa Italia. E lo hanno fatto proprio nella loro città, nella nuova Acinque Ice Arena di via Albani, inaugurata a settembre 2022. Davanti a una cornice di pubblico da tutto esaurito sia al sabato che alla domenica, hanno prima battuto l’Appiano in semifinale, dominando la contesa dal primo al terzo periodo, poi si sono imposti sul Caldaro, al termine di un ultimo atto intenso, spettacolare e incerto fino ai secondi finali di gioco.
Appiano più Caldaro. No, non è cambiato nulla: l’hockey è rimasto, come trenta, quaranta e cinquanta anni fa, un affare soprattutto altoatesino, anzi bolzanino. E, proprio come allora, Varese è un bellissimo fungo spuntato da una apparentemente infruttifera steppa ghiacciata, un fenomeno inspiegabile che ha sparigliato i progetti di gloria altrui. Allora, era il 1987, i Mastini targati Kronenbourg spezzarono un dominio altoatesino e alpino che durava dal 1961, vincendo il loro primo scudetto, bissandolo nel 1989 e aggiungendo – nel 1995 – la Federation Cup, prima e unica coppa europea messa in bacheca da un club italiano nella storia di questo sport.
I gialloneri dell’oggi, invece, sono passati da fallimenti, scomparse e scissioni, rinascendo negli ultimi anni ma sprovvisti di una casa, obbligati a fare avanti e indietro da Milano o da Como stante il vecchio Palalbani in ristrutturazione. Investire in un nuovo palazzo del ghiaccio, però, è stato il primo seme del successo appena festeggiato, e ha ripagato ogni sacrificio consumato con abnegazione, donando alla città e alla squadra una struttura all’avanguardia e dalle mille possibilità (le Final Four di Coppa Italia organizzate sono state solo il primo di una lunga serie di eventi che faranno di Varese un polo d’attrazione per tutte le discipline del ghiaccio).
Il resto lo hanno fatto le visioni di un presidente gentile ma determinato, Carlo Bino, quelli di un maestro canadese errante, Claude Devèze, ovvero un piccolo Mourinho dell’hockey capace di vincere dappertutto e amato dai suoi giocatori per il senso di appartenenza che sempre riesce a creare nelle formazioni da lui guidate, e un manipolo di ragazzi della città – Vanetti, i Borghi, i Mazzacane… – infarciti da un paio di stranieri e da un italo americano, quasi tutta gente che di giorno ha un lavoro normale e di sera si trasforma in un diavolo del ghiaccio.
Cosa c’è nel futuro di una squadra e di una società che hanno riacceso la passione sportiva cittadina? Beh, in primis il campionato, che verrà ripreso dalla testa della classifica. Poi una scelta, soprattutto in caso di altra vittoria: provare a scalare un ulteriore gradino ed entrare a far parte della Serie A e magari addirittura dei professionisti dell’Alps Hockey League, il campionato che mette insieme le migliori squadre di Italia, Austria e Slovenia, la vera Serie A, oppure restare allo status quo, con un’ambizione più contenuta ma anche senza il rischio di (ri)fare un passo più lungo della gamba.
Bel dilemma…
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