In un pomeriggio inusuale, con un sole fuori di stagione, ventoso e l’aria gelida, una schiera numerosa di ragazzi, di giovani, di donne e uomini cammina tra preghiera e speranza lungo le strade di Varese. C’è chi conversa con amici ritrovati, chi è solo e cammina tra spazi d’infinito, chi ascolta pensieri di riflessioni che arrivano da gracchianti altoparlanti. Camminano in mezzo ad una città sonnacchiosa e a detta di molti introversa.
È gente che cammina dopo essersi riunita nella cripta della Brunella per ascoltare cori di preghiera, testimonianze di persone che si dedicano a coloro che sono invisibili: i carcerati, i diversamente abili, gli scartati che vivono nelle periferie esistenziali della città, i profughi e i migranti. Camminano portando nel cuore la voce di costoro, il desiderio di pace, la volontà di recare a loro un aiuto. L’attenzione si sposta sulle vicine carceri, sui palazzi dove l’umanità coglie ogni giorno il calore della famiglia o la solitudine della vecchiaia, sulle grandi ville circondate da ampi parchi dove forse abitano persone in cerca di un universo interiore.
Entrano nei giardini del palazzo di città dove li accoglie il sindaco che, lontano dagli orpelli di una falsa retorica, ricorda che dovremmo diventare tutti come quei bambini che, dopo aver litigato, dicono “Facciamo la pace!”. C’ è anche un iman che, dapprima in arabo e poi in italiano, invoca dal Dio onnipotente e misericordioso il dono della pace. Questo popolo si dirige verso la basilica di San Vittore, dove, alla luce della Parola di Dio, invoca che le assurde guerre terminino. Lo reclamano, anzi lo gridano, come Giovanni nel deserto: cessino i bombardamenti soprattutto contro inermi civili, contro i bambini innocenti nelle loro scuole, negli ospedali, contro chi è in fuga, lasciando dietro di sé le case, il lavoro, gli affetti.
C’è qualcuno che nel silenzio del cuore prega anche per il potente che ha aggredito un popolo, qui rappresentato, accanto al vicario episcopale Vegezzi, da un sacerdote ucraino della chiesa cattolica di rito bizantino. Aggrediti e aggressori sono vittime entrambi di una logica perversa: chi è aggredito, subisce la guerra e chi è mandato a combattere contro un fratello, anche lui subisce la paranoia della deformazione della realtà, l’esaltazione della forza, la giustificazione della violenza.
Le donne e gli uomini presenti si chiedono: “Che cosa posso fare io per costruire la pace?”
Molti desiderano essere uomini capaci di creare una cultura dell’incontro e della vicinanza, di tessere relazioni capaci di ricucire le ferite che spettano a loro e di affrontare le sfide del nostro tempo. Chiedono al loro Dio di non rimanere indifferenti davanti al dolore, alla malattia, all’ingiustizia, all’indifferenza. Vogliono conoscere le cause delle ingiustizie e chiedono agli uomini impegnati in politica di operare per il bene di tutti e di compiere sforzi sovrumani perché cessi la guerra, termini il mercato delle armi e sorga presto un mondo di pace.
Cantano le donne e gli uomini accomunati in un solo coro: “Ogni forza, ogni potenza è in mano tua: il mio rifugio è Dio: spera sempre in Lui, in ogni tempo. Sua è la grazia, suo è l’amore.”
Domandano soprattutto di non restare indifferenti. Agli occhi dei più giovani sfuggono le visioni dell’ultima guerra mondiale vissuta dai loro nonni, ma scrutano alla televisione con occhi dilatati le orrende scene dell’attuale “guerra a pezzi”. Sembra che la forza propulsiva che aveva portato a unire i popoli dell’Europa si sia ormai spenta e su di essi sia caduta l’abitudine nel vedere uomini uccisi, case distrutte, bambini sanguinanti, mentre i potenti della terra si riuniscono in mezzo a intrighi altrettanto sanguinosi per allargare la propria egemonia secondo i loro calcoli meschini e contro la volontà dei popoli aggrediti.
Chi ha camminato, riflettuto, pregato per la pace erano per lo più “operatori” di pace, ma tutti siamo chiamati ad essere “costruttori” di pace, cioè a “vincere la pace” – secondo un’incisiva espressione usata da Maritain – e ciò richiede che si vigili come sentinelle perché la pace sia conservata, salvaguardata e diffusa in tutto il pianeta.
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