“Dopo anni di battaglie e di investimenti, oggi l’idrovia Locarno – Milano – Venezia sta tornando ad essere navigabile, grazie ad importanti interventi costati sinora circa 100 milioni di euro. Restano ancora da risolvere due situazioni critiche sulla tratta Locarno – Milano e il ripristino del Naviglio Pavese per un importo stimato in 60 milioni, mentre non vi sono più ostacoli da Pavia a Venezia, salvo problemi di carenza idrica dovuti alla siccità”.
Così pochi giorni prima di congedarsi dalla vita ha scritto, in una lettera aperta al Corriere della sera, l’architetto Empio Malara, animatore instancabile dagli anni ottanta dell’Associazione Amici dei Navigli. È a lui che Milano e la Lombardia intera devono la riscoperta e il rilancio di una via d’acqua che ha pochi eguali in Europa. Con una differenza: alle nostre latitudini era stata semi abbandonata. Con la grande Milano che aveva girato le spalle alle sue acque da quando la modernità uccise in Italia il trasporto merci via acqua.
Pochi ricordano ormai che fino alla fine degli anni ’50 Milano era il settimo porto commerciale d’Italia. Per i successivi quarant’anni ha invece vissuto le sue acque come un declinante retaggio piuttosto che come un’opportunità per rilanciare una sua straordinaria peculiarità storica. Il Naviglio Grande, il primo dei canali dell’intero sistema dei navigli milanesi e pavesi, ha infatti una radice antichissima. Costruito tra il 1150 e 1256 per unire il Lago Maggiore con la capitale ambrosiana è stato, grazie a continui adeguamenti fino agli inizi del ‘900, l’arteria pulsante dell’economia meneghina.
Le sue acque hanno irrigato – e continuano a farlo – le pianure meridionali della metropoli, hanno mosso le ruote ad acqua delle prime manifatture, sono servite a renderla più pulita allorché vennero utilizzate come scarichi delle fognature fino alla copertura dei tratti interni al tessuto urbano negli anni venti e trenta del secolo scorso. Dunque un patrimonio straordinario di Milano, ma anche asse portante dell’antica via d’acqua che unisce il Verbano, quindi anche il Canton Ticino e la Svizzera, con il cuore della pianura padana fino a Pavia e poi lungo il Po fino all’Adriatico e a Venezia. Sullo sfondo le bellezze delle corti – da Mantova a Ferrara – del Rinascimento italiano. In tutto 550 chilometri da Locarno a Venezia, un sogno d’acqua a fruizione turistico ambientale ormai non lontano dalla sua concreta realizzazione. Senza dimenticare che Naviglio Grande e fiume Ticino, nella discesa verso Milano, per lunghi tratti scorrono affiancati solcando l’omonimo Parco istituito – una fetta consistente è in provincia di Varese – con legge regionale nel 1974; un corridoio biologico, sopravvissuto allo sviluppo industriale e alle speculazioni, un collegamento naturale tra le Alpi e il mare.
Troverà dunque realizzazione – speriamo tra non molto tempo – il sogno d’acqua dell’architetto Malara frutto di un lavoro tenacissimo di ricerca, di assidua e paziente riproposizione della questione al mondo della politica cittadina, lombarda e nazionale. Prima svogliata se non indifferente, poi capace di concretizzare, almeno in parte, le suggestioni di rinascita grazie all’apprezzatissimo recupero della Darsena, al rilancio di un tratto suggestivo di navigazione urbana cittadina, al restauro conservativo e funzionale sul Naviglio Pavese delle prime due conche di navigazione, la Conchetta e la Conca Fallata.
“In attesa del compimento delle restanti opere e del conseguente afflusso di natanti, sarebbe strategico mettere mano al recupero della Conca di Viarenna (1430) tristemente recintata in via Conca del Naviglio – ha scritto Malara – connettendola con la Darsena per dare preziosa riqualificazione storica ad una parte della città d’acqua…”. La città, Milano, che è stata fino all’ultimo in cima ai suoi pensieri di cittadino e di architetto, dove era approdato nei primi ’50 come matricola del Politecnico.
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