No, non era solo il problema di Napoli. E per Whirlpool non era in gioco solo l’Italia, ma un riposizionamento complessivo e il ruolo dell’Europa, Africa e Medio Oriente inclusi, anche se ora naturalmente i capannoni del polo tecnologico-industriale di Cassinetta di Biandronno, sul Lago di Varese, sono al centro di importanti interrogativi sul futuro.
L’annuncio, lo scorso 17 gennaio, dell’accordo raggiunto tra il gruppo di Bent Harbor (Michigan) e i Turchi di Arçelik, che posseggono tra l’altro il marchio Beko, chiude un periodo di interrogativi e illazioni durato diversi mesi. Le due società daranno vita a un conglomerato europeo, dal fatturato atteso di 6 miliardi di euro, controllato per tre quarti dal gruppo di Istanbul e per un quarto da quello Usa. Ma non è tutto: Whirlpool si ritira dalle attività in Medio Oriente e Africa. Nel 2021, con la cessione al suo partner locale Galanz, il gruppo USA poneva fine alla sua avventura in Cina e lo scorso mese di giugno era la volta della cessione, sempre ad Arçelik delle attività in Russia e Kazakistan, cosa che nello stesso tempo faceva anche la sua arci-rivale europea Electrolux. Tutte operazioni in cui c’è anche della geopolitica: meglio vendere ai Turchi, con i quali c’era già il precedente russo, che andare a rafforzare i Cinesi di Haier, o forse anche i sudcoreani di Samsung ed LG (di cui pure si era parlato nel recente passato), soprattutto se si vuol mantenere una posizione dominante nei restanti mercati.
La mossa non è una sorpresa: su un fatturato attorno ai 21 miliardi di dollari, il Nord America nel terzo trimestre 2022 “pesava” per il 60 per cento, mentre Europa, Medio Oriente e Africa contavano meno del 19%. Per non parlare dei margini: il margine lordo prima di interessi e tasse era solo del 4,7%, ma la quasi totalità (92%) veniva dal Nord America, mentre le cifre europee erano in rosso. Le cause? Sono le stesse lamentate quasi in parallelo anche dall’altro gigante europeo dell’elettrodomestico, l’Electrolux, che come Whirlpool ha in Italia migliaia di dipendenti e diversi siti produttivi: mercato in contrazione, inflazione e carenza di componenti, soprattutto quelli elettronici.
Che cosa succederà ora? I sindacati hanno già chiesto al Governo e al ministro delle attività produttive Urso, di intervenire per dare assicurazioni sull’occupazione, ma i timori sono concreti. La svalutazione della lira turca rende più competitivi i manufatti realizzati dall’altra parte del Bosforo e del resto il comunicato che annuncia l’accordo parla di “sinergie”, ovvero minori costi, per 200 milioni di euro. Qui, il pensiero più che a un aumento della produzione va a possibili tagli occupazionali e chiusura di ulteriori siti in Europa. Già da qualche anno aleggiano per esempio preoccupazioni su Siena. Ormai la chiusura di Napoli è cosa fatta, al di là di periodiche manifestazioni che possono riguardare più che altro la futura destinazione dell’ex fabbrica di lavatrici, mentre è ancora vivo il ricordo di 10 anni fa della chiusura del polo di Trento.
Per Whirlpool (e non solo) i problemi sono un mercato in contrazione soprattutto nella “vecchia” Europa, che ha visto cali di vendite in doppia cifra (-23% per l’Italia) che ha colpito di più alcune linee di prodotti, come le lavatrici (a Napoli la produzione ultima era scesa a 250 mila unità annue contro una soglia di sopravvivenza sopra le 600 mila) e meno altre, come le lavastoviglie. Nello stesso tempo, il mercato privilegia tecnologie e segmenti su cui investire, ammette la società: i prodotti multifunzione, come le lavasciuga, e quelli interconnessi.
Al momento i due gruppi non hanno ancora annunciato le loro politiche di uso dei (numerosi) marchi e si dovrà vedere quali saranno le politiche di prodotto. Per esempio Whirlpool (con Indesit) e Beko, che è già il secondo marchio del “bianco” in Europa, occuperanno segmenti complementari di mercato? Negli stessi giorni, Arçelik ha annunciato un’altra joint venture, questa volta con Hitachi: quali saranno gli sviluppi? Questo matrimonio del “bianco” non rischia di essere troppo affollato? Anche dalla risposta a domande come queste dipenderà il futuro del sito sul Lago di Varese.
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