Appena fuori dei nostri confini, nella Svizzera Italiana, c’è una Caritas, la Caritas Ticino, www.caritas-ticino.ch / cati@caritas-ticino.ch, che a mio avviso è un modello degno della massima attenzione anche per chi opera nel nostro Paese nello stesso settore e in particolare per le Caritas diocesane.
Fondata ottant’anni fa, la Caritas Ticino è un’opera della diocesi di Lugano, l’unica diocesi svizzera il cui territorio coincide con quello di un Cantone. Appunto il Canton Ticino, la massima parte della Svizzera Italiana. Alla base del modus operandi di Caritas Ticino c’è una frase del compianto vescovo mons. Eugenio Corecco (1931-1995): “l’uomo è più del suo bisogno”. Perciò, spiegano, una persona “non può essere identificata con quel che gli manca, con il suo deficit (…)”. Non la si deve definire sulla base del suo problema: un sordo, un disoccupato, un handicappato. Non si può rispondere alla profonda, dolorosa esperienza di un limite senza nello stesso tempo tener conto del grande e profondo desiderio di vita che è in ciascuno. A qualcuno che non ha lavoro non basta dare dei soldi, a qualcuno che non cammina non basta dare una sedia a rotelle: così si rischia di togliere l’umano dall’intervento sociale, quindi la carità nel suo più vero significato.
Occorre superare, dicono alla Caritas Ticino, quella visione secondo cui l’intervento sociale deve soddisfare solo i “bisogni di base” e citano Ivan Illich secondo il quale “quella dei bisogni di base può essere considerata l’eredità più insidiosa lasciataci dallo sviluppo dello Stato sociale. Il malato, lo straniero, l’anziano, il paziente diventa colui cui manca qualcosa. Così si fa la politica delle mancanze da colmare e non della valorizzazione di ciò che c’è. Allora il fenomeno umano non viene più definito attraverso ciò che siamo, sogniamo e possiamo ancora essere, ma attraverso la misura di ciò che ci manca e quindi di ciò di cui abbiamo bisogno. E i servizi sociali diventano degli erogatori di prestazioni volte a colmare la mancanza” (Ivan Illich, Per una storia dei bisogni, Mondadori, Milano 1961). In questo spirito Caritas Ticino nel tempo ha dato vita a delle sue aziende che, impegnando i disoccupati li riqualificano orientandoli magari verso nuove professionalità e comunque offrendo loro esperienze positive di lavoro insieme. Ad esempio ha un magazzino in cui è possibile tenere in deposito dei propri mobili; smaltisce mobili usati e nei suoi Catishops rivende mobili, oggetti di arredamento, computer e altri apparecchi elettronici riciclati; ha un’azienda agricola che offre in abbonamento la consegna settimanale in tutto il Cantone di una «biocassetta» di circa due chili di verdura biologica e fresca di stagione al prezzo conveniente in Svizzera di soli 10 franchi; provvede su richiesta all’estirpazione delle neofite, ossia le essenze infestanti che giungono in Europa insieme a verdure e fiori importati da altri continenti; raccoglie e ricicla abiti usati. In tutte queste attività dà lavoro e riqualifica persone rimaste senza occupazione. In linea di principio tende a non dare mai aiuti in denaro ma occasioni di lavoro insieme e di corsi di formazione pagati. Inoltre offre ad esempio a persone che tendono ad indebitarsi la compagnia di un “tutor” che li aiuta a riorganizzare il proprio bilancio familiare, come pure altre forme di consulenza. L’obiettivo generale è quello di rimettere la persona sulle sue gambe aiutandola appunto a non fermarsi su ciò che gli manca ma a riscoprire ciò che ha mentre, ritenendo che non sia il suo compito, non svolge alcuna attività di denuncia e di rivendicazione politica.
www.robironza.wordpress.com
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