Tra pochi giorni, il 27 gennaio, sarà la Giornata della Memoria della Shoah.
Siamo grati alla scuola che, dopo un lungo periodo di “quasi silenzio”, da qualche anno si sta impegnando, dalla primaria alle superiori, per ricordare l’evento più tragico e sconvolgente del Novecento.
La ricorrenza è divenuta parte integrante del calendario interno alle scuole in cui si raggruppano le più significative scadenze civili del Paese.
Molte le iniziative, dal recupero delle testimonianze dirette, ormai residue, alla visione di film, documentari e video, alle letture di libri e documenti con cui si prova a individuare un filo conduttore che conduca attraverso gli avvenimenti di un momento storico davvero complesso.
Sappiamo che non pochi docenti hanno reso possibile ai propri studenti l’esperienza toccante di visite guidate ai lager, offrendo loro un’occasione unica per incontrare la Storia da vicino e riportarne un’impressione indelebile.
Varcare i cancelli del Museo di Auschwitz-Birkenau suscita tanti interrogativi ma allo stesso tempo fornisce qualche risposta a negazionisti, a neonazisti, ai disinformati che affollano i social con fake news e mistificazioni di vario genere.
Eppure, nonostante il crescente interesse verso i temi della Shoah, nella società europea ci si imbatte spesso nell’ignoranza dei fatti legati alla Shoah o nel fenomeno della rimozione, personale o collettiva, di ciò che è stato. Un sondaggio realizzato dalla CNN nel 2018 su un campione rappresentativo di 7.000 persone in 7 paesi, Austria, Francia, Germania, Gran Bretagna, Ungheria, Polonia e Svezia, evidenzia come un terzo dei cittadini europei sappia poco o niente dell’Olocausto.
Il dato più sorprendente riguarda la Francia dove un giovane su 5 afferma di non averne mai sentito parlare.
Stupisce che in Austria, paese natale di Adolf Hitler, tra i giovani la percentuale di chi conosce i fatti legati a quel periodo si attesti attorno a un risicato 12%. Ecco allora il ruolo centrale del luogo deputato alla conoscenza, la scuola, chiamata a trasmettere alle nuove generazioni anche la memoria della Shoah, da qualcuno definita “un grande libro della memoria”.
Alla scuola però potremmo chiedere di più. Che la Giornata della Memoria non sia solo la celebrazione di una ricorrenza bensì l’avvio di un laboratorio attivo di storia, di educazione civica, di diritto, di un insieme di lezioni non episodiche. Che la didattica proceda con un lavoro graduale di ascolto delle testimonianze e con la raccolta sistematica dei materiali.
Servono tempi lunghi e un’accurata preparazione per costruire un itinerario interdisciplinare che conceda il giusto spazio all’emotività ma che riesca anche a contenerla a favore di una corretta interpretazione degli eventi.
Sarebbe un serio errore educativo indulgere sulla memoria del passato e non saper allo stesso tempo aiutare i giovani ad affrontare il presente: la memoria del passato va sostanziata e sostenuta perché si possa connettere all’attualità.
Le nuove generazioni potranno comprendere, confrontare e infine ricordare. E per evitare che la storia possa ripetersi dovranno possedere gli strumenti per una lettura il più possibile oggettiva di quel passato di orrori e di morte che ancora riverbera le sue ombre su un presente dove resistono guerre e oppressioni, violenze e soprusi.
Perché, come scrisse Primo Levi: se è avvenuto, può accadere di nuovo.
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