L’Africa, problema del mondo. L’Africa “desertificata” dal degradarsi del clima che mina l’economia basata sull’agricoltura e l’allevamento, l’Africa della fame, della miseria, dei bambini che muoiono in mezzo a nugoli di mosche, l’Africa dei regimi dittatoriali che si impossessano del potere con la violenza, dei terroristi di Boko Haram e di chi tenta disperatamente di fuggire dalle guerre etniche, l’Africa delle torture, delle donne sequestrate e degli “hot spot” libici per i migranti, delle violazioni dei diritti umani, dei crimini e degli orrori accertati da Amnesty International, l’Africa delle lugubri rotte nel Mediterraneo verso l’Europa chiusa a riccio.
L’Africa ha sofferto lo schiavismo e le deportazioni di massa della forza-lavoro nera verso gli Stati americani sudisti, spremuta nei campi di cotone lungo il fiume Mississipi. Ha patito le guerre coloniali europee e l’apartheid, fornito l’immensa ricchezza delle miniere di diamanti sfruttate da magnati bianchi senza scrupoli, oggi del coltan congolese per l’industria informatica. E in tempi più recenti ha scontato i sanguinosi effetti delle missioni di peace keeping dei Paesi occidentali per “esportare la democrazia”. Eppure esiste un modo diverso di vedere l’Africa, un atteggiamento di speranza che nasce dall’esempio fornito da uomini speciali.
Come scordare i missionari religiosi e laici che lavorano in condizioni di estrema difficoltà dentro villaggi sperduti e spesso sacrificano la vita? Ma non sono gli unici a meritare la lode. Urbano Aletti (1923-2019), banchiere e benefattore milanese con ascendenze varesine (il nonno era proprietario di Villa Spartivento a Biumo), fu l’espressione di quelle famiglie che gestiscono la ricchezza personale con spirito di solidarietà sociale. Sosteneva, con Sant’Agostino, che la serenità è dare una parte del superfluo a chi ne ha bisogno e, tra le tante iniziative benefiche, contribuì alla istituzione in Uganda di una sede della Università Cattolica di Milano dove futuri manager locali possono studiare, crescere e occuparsi in prospettiva del loro Paese.
Anche alla sua generosità si deve, attraverso la Fondazione Spe Salvi, la creazione del Campus dell’Università Cattolica ugandese a Nkozi, otto corsi di laurea e 4670 studenti di agraria, veterinaria e medicina, a due ore di auto dalla capitale Kampala. Qui nel 2010 fu inaugurata la sede per la formazione dei futuri operatori sanitari in una palazzina dedicata alla memoria della moglie Anna Montano Aletti, scomparsa nel 2008, che l’allora giovane agente di cambio conobbe quand’era sfollata a Biumo durante la guerra. Altri progetti riguardano il microcredito e la Postgraduate Medical School che attrae giovani medici da Tanzania, Kenya, Ruanda e Sudan.
Di un altro personaggio che amava l’Africa si occupa Gianni Spartà nel libro “Don Vittorione l’Africano” che rievoca, con una nota di papa Francesco, l’incredibile figura di Vittorio Pastori (1926-1994), il “panzer di Dio”, fondatore della Ong Africa Mission che quest’anno compie mezzo secolo di vita. Titolare d’un avviato ristorante a Varese, Vittorio lasciò tutto nel 1972 per dedicarsi alla carità nell’Uganda del sanguinario dittatore Amin. In Italia raccoglieva pasta, riso, macchine trebbiatrici e con aerei cargo li trasportava in Africa, dove promosse piani di sviluppo e scavi di mille pozzi d’acqua. Collezionò 147 missioni. Fu ordinato prete nel 1984 e proseguì l’opera fino alla morte, 68enne, il 2 settembre 1994.
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