Tra meno d’un mese si vota per le regionali e le curiosità all’orizzonte sono due. La prima. A sinistra han deciso, se non di perdere, d’autosabotare l’ipotesi di vincere. Nel caso contrario, marcerebbero uniti anziché divisi. Uniti Pd, M5S, Terzo Polo morattiano. Forse l’alleanza risulterebbe insufficiente a battere la coalizione di destra, però aiuterebbe l’elettorato a ristabilirsi dal disorientamento. Per (provare a) sconfiggere Fontana e la squadra che lo sostiene -Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia- devi schierarne una d’egual numero di giocatori e capace di passarsi la palla al ragionevole modo degli avversari. Altrimenti gli dai vantaggio in eccesso, addirittura spalancando la porta: segneranno quanti gol gli pare.
Ma questo non accadrà, al netto d’un miracolo che ribalti il pronostico nient’affatto scritto sull’acqua, nonostante il nome del governatore candidato a bissare sé stesso. Perciò, argomento da archiviare. E siamo alla seconda curiosità, di sicuro più intrigante. Ovvero all’epilogo della partita supplementare che si disputa, quella all’interno del team Salvini-Berlusconi-Meloni. Un tempo padrona del Nord, la Lega non lo è più da un pezzo. Un tempo re dei moderati/conservatori, Silvio deve contentarsi della diminutio di rango. Un tempo sfavorita da qualunque pronostico, Giorgia ha rovesciato le attese dei bookmakers. Il verdetto, a cinque mesi dalle politiche del settembre scorso, aggiornerà -insieme con la pari sentenza delle regionali nel Lazio- lo status dell’intesa a tutela di Palazzo Chigi. Salvini non può perdere troppo, pena la marginalità di potere. Berlusconi idem, pena la corsa finale all’estinzione degli Azzurri. La Meloni punta a vincere senz’esagerare, pena il dramma da sottomissione che investirebbe i partner. A seguire, problemi di tenuta del governo.
Dunque una tornata pop-consultiva dal verdetto leggibile in tanti modi, tra i quali il paradosso d’un game, set, match che la presidente del Consiglio si augura solo fino a un certo punto. Solo in una certa misura. Solo se non le dovesse costare il prezzo d’una crisi da dominio sui sodali. Certo non intenzionati a far cadere l’esecutivo, perché o altri sarebbero pronti a sostituirli o si tornerebbe al voto con trionfo meloniano. Ma che le renderebbero la vita difficile ben più di quanto gli sia finora riuscito. Perciò: vincere con juicio, ecco il vero/pragmatico obiettivo della donna al comando d’Italia.
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