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Il punto blu

SEGUENDO PABLO

DINO AZZALIN - 13/01/2023

In Cile il fuso è 4 ore indietro all’Italia ma non ci vuole molto per capire che qui è estate piena con temperature che vanno dai 37 gradi nella capitale ai piedi della cordigliera andina ai 28 gradi della spiaggia di Zapallar, sull’Oceano.

Di invernale qui c’è solo l’acqua freddissima per pochi giovani che si tuffano impavidi tra le onde del Pacifico. Mi attende il deserto di Atacama uno dei più caldi e desolati del mondo. E viaggiare significa entrare nel vivo della vita e lasciarsi andare a uno sguardo predatorio su tutto ciò che di inedito stupore, suscita la “viandanza”.

Ed è come gustarsi le tre palline di questo gelato prima che si sciolga mentre il tempo scorre ed è tanto dolce quanto più l’esperienza si fa conoscenza pura. Ormai la meta è vicina, e tutti sappiamo che la vita non fa prigionieri, cosi che si fa bottino di ogni bellezza che offre quotidianamente.

Il bagaglio è leggero, per viaggiare: anche per un così lungo tempo si ha bisogno davvero di poco e la vera ricchezza è proprio il tempo, un trekking continuo tra il sogno e lo stupore, tra la realtà e i silenzi che continuano dentro, per “dare un senso alla vita, anche quando un senso non ce l’ha“.

Viaggiare è il farmaco migliore contro le malattie vere o presunte che la vecchiaia ci presenta e vedere i luoghi con altri occhi, come scrisse Proust, è immergersi nelle varie e diverse culture. E così cammino in un Cile reale dalle tante contraddizioni sociali. E avendo raggiunto da qualche giorno ormai “la maggiore età” sono diventato un uomo diversamente giovane, cosi mi sono fatto un regalo in solitaria: il Cile e la Patagonia Argentina.

Sul bus verso Valparaiso con lo zaino in spalla sono venuto qui per riprendermi un po’ del tempo che resta. E della mirabolante Santiago, capitale dove vivono sei milioni di persone per un totale di poco più di 18 dell’intera popolazione mi restano davvero poche suggestioni.

Sulle tracce della storia di Unidad Popular di Salvador Allende che appartiene alle emozioni giovanili sembra non essere rimasto nulla, e nemmeno della dittatura di Pinochet o dei venti anni di governi che si sono succeduti. Quei vecchi quartieri letteralmente rasi al suolo lasciano il posto a una impressionante crescita di centinaia di grattacieli, che svettano sullo smog e la rendono una città come tante sparse in Sudamerica. Solo il Bellavista è rimasto pressoché intatto: qui migliaia di turisti si recano ogni anno a visitare la Chascona, la casa che Pablo Neruda volle nel 1953 per l’amante dai ricci capelli rossi Matilde Urrutia, che divenne poi la terza moglie del grande poeta cileno, sposata simbolicamente a Capri dove era esule.

Qui si respira davvero un’aria diversa. Nei suoi poemi si vedono “Le venti poesie d’amore e una canzone disperata” e i laghi turchesi, i ghiacciai minacciosi, i fiumi e fiordi dell’Oceano Pacifico che dipingono lo scenario della sua Patagonia. Ma soprattutto di una vita tumultuosa e per certi versi contraddittoria.

La natura selvaggia e intatta fatta di metafore rende Pablo Neruda il più grande canzoniere amoroso del Novecento, famoso e tradotto in tutto il mondo. E la sua lotta politica che lo ha visto impegnato su diversi fronti lo consacra alla storia con la sua poesia strumento anche di impegno civile.

E la sua casa a Isla Negra, a ridosso della scogliera sul Pacifico, mi riempie di grande emozione, girando nelle stanze per rivivere almeno la creatività del grande poeta del “Canto General”, epica della lotta sociale, uno dei libri trovati nello zaino del Che, dopo la sventurata avventura boliviana nella quale trovò la morte.

Oggi partenza verso il sud, Temuco (11 ore di bus), dove convissero per qualche anno nel “Liceo de hombres” Gabriela Mistral, la direttrice, e Pablo Neruda, studente, che sarebbero diventati, per una incredibile coincidenza astrale, due premi Nobel: la prima nel 1945, il secondo nel 1971.

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