Non è facile amarla da subito, perché è esigente e spesso intransigente. Non solo propone, ma impone. Insegna il rispetto, l’onestà, l’amore per la cultura, la fede nella scienza, insegna a diventare grandi soprattutto nello spirito, aspettando che la conoscenza la illumini, le insegni ad apprezzare la bellezza in tutte le sue forme.
Nella scuola, che va a riprendere dopo l’interruzione natalizia, abbiamo imparato a conoscere qualcosa di più di noi stessi e del prossimo, quel vicino con cui abbiamo condiviso lunghe ore di una mattinata o di un pomeriggio. A scuola abbiamo imparato a guardarci dentro, a scoprire chi siamo, che tipo di rapporto abbiamo con il mondo che ci circonda, osservandolo con attenzione e studiandolo nelle sue più disparate sfumature.
Abbiamo imparato a stabilire rapporti, a dialogare e a competere positivamente con altre persone, a scavare nelle nostre perplessità e nei nostri dubbi per renderli più accessibili, meno misteriosi, abbiamo educato il nostro modo di essere, lasciandoci guidare dalla mano e dal cuore esperto di maestri e maestre, professori e professoresse con i quali abbiamo condiviso una parte fondamentale della nostra vita.
La scuola non è mai stata perfetta, ha commesso i suoi errori. La sua umanità si è lasciata a tratti sorprendere dalla forza intrigante di una natura umana dotata spesso di contraddittorie forme caratteriali, ha pagato il prezzo di troppa sicurezza, spesso non è stata compresa nelle sue aspirazioni primarie, quelle che l’avrebbero resa meno severa, meno legata a schemi, stereotipi e archetipi, una scuola più scuola dunque, più attenta alla vita, meno legata all’idea che al suono di una campanella si dovesse scappare via lontano, quasi si uscisse da una prigione.
Forse una scuola meno prigione e più ragione, meno personale e più societaria, più attenta all’evoluzione del mondo, pronta a coglierne il dinamismo, a proiettarlo in una visione, a riempirlo di nuova umanità, di certezze da coltivare, d’immaginazione, una scuola di umori, di invenzioni e di fantasie, di emozioni e di vissuti, creati, cercati e proposti, una scuola della verità e di un sano pragmatismo, capace di essere guida, di aprire prospettive, di far crescere una gioventù più dentro la storia, più pronta all’inserimento e alla programmazione, più cosciente della propria natura e delle responsabilità sociali, una scuola più vicina alla storia, soprattutto quella che ci accompagna giorno dopo giorno tra alterne vicende.
Quando la scuola è buona? Forse quando sa conciliare l’aspirazione umana con le cose di questo mondo, lasciando aperta una via che conduca ancora più lontano, dove il confronto si anima e si determina fuori dai conflitti sociali, in un rapporto di empatia, confermando l’idea che il giudizio non sia mai forma esaustiva di verità.
La scuola buona è cammino cosciente alla ricerca di identità, ma è anche visione condivisa con quel mondo che le ruota attorno e con il quale si trova spesso a doversi interfacciare. Una scuola capace di capire e di interpretare, di vedere oltre la siepe, di coltivare la presunzione di poter diventare sempre l’ago della bilancia di una crescita umana e sociale che riguarda tutti, una scuola che unisca e che animi, che consenta di ricercare, che apra le porte di un infinito in cui si rendano necessari punti fermi per poter continuare
A volte s’impara ad amare la scuola quando si è avanti negli anni, quando guardando indietro ci si accorge di quanto sia stato utile quel tempo in cui un grazie e un prego, un buongiorno e un arrivederci ricompattavano le volontà, il desiderio di diventare grandi e di operare, di essere in linea con le attese del mondo.
Nella scuola non c’è mai stato razzismo, perché la scuola ha insegnato ad amare, a lavorare, a stare insieme, a condividere, non ha mai innalzato steccati, non ha mai coltivato la vendetta o il rancore, ha sempre cercato di aprire la via alla scoperta di una cultura ampia, sociale e solidale, in cui ciascuno si potesse riconoscere. La scuola è davvero buona quando a distanza di anni la senti ancora cucita addosso come l’abito della domenica.
You must be logged in to post a comment Login