Anno ebraico 5784, anno 1445 per i musulmani e il nostro 2023, appena iniziato. Soliti riti beneauguranti, rinnovata speranza per un mondo migliore. Ma non sarebbe più giusto augurarci di essere noi migliori?
In questi giorni qualcuno avrà coraggiosamente ripensato alle parole di Jacques Brel. “Vi auguro sogni a non finire…vi auguro passioni, vi auguro silenzi, vi auguro di resistere all’indifferenza, alle virtù negative della nostra epoca”. Noi potremmo aggiungere l’augurio di non smarrirci nell’incertezza.
Ricordare gli anniversari che punteggeranno i prossimi dodici mesi non è la soluzione alla paura del futuro ma può essere utile e stimolante. Come utile è riflettere sul termine anniversario che è composto da annus ma anche da vertere, volgere. La nostra attenzione deve, infatti, rivolgersi alla riflessione, al bilancio e alla ritualità che tali ricorrenze offrono. Forse una liturgia laica ma importante.
Il 5 gennaio avrebbe compito 75 anni Peppino Impastato, il coraggioso giornalista palermitano. Sono passati cinquant’anni dalla morte di Carlo Emilio Gadda e centocinquanta da quella del sciur Alessandro, l’autore de I Promessi Sposi.
E perché non ricordare che nel 1923 Massimo Bontempelli pubblicò Eva ultima, un romanzo fantastico-fantascientifico in cui la protagonista si innamora di un automa, che considera il suo uomo ideale. Quest’anno saranno solennemente ricordati due centenari: la nascita di Italo Calvino e di Don Lorenzo Milani. Insomma non mancheranno occasioni per riflettere in questa liturgia della nostra cultura.
L’elenco potrebbe continuare ma un’attenzione particolare deve essere rivolta ad Antonio Riboldi, nato il 16 gennaio del 1923 a Triuggio, nell’attuale provincia di Monza Brianza. L’impegno verso la giustizia e la legalità di Don Riboldi, o meglio del vescovo di Acerra, ci interroga ancora con forza.
Proprio per questo vale davvero la pena di leggere il romanzo-saggio di Pietro Perone, pubblicato dalle Edizioni San Paolo e intitolato Don Riboldi. 1923-2023. Il coraggio tradito. Il giornalista Perone, che è stato negli anni Ottanta un ragazzo di don Antonio, fa rivivere con chiarezza nelle pagine del suo libro la voce del coraggioso vescovo, vero defensor civitatis.
Una voce che “si fece sentire in Parlamento, in dialogo (e in polemica) con i politici, ma anche in mezzo ai giovani, alla gente comune a faccia a faccia con i criminali che volevano imporre la propria autorità su ogni aspetto della vita sociale”. Molti giovani in quegli anni risposero agli appelli di Don Riboldi…
Manifestazioni di studenti contro la mafia e la camorra per la dignità umana. Mino Martinazzoli – uno strano democristiano, come scrive Perone – ministro della Giustizia e vicinissimo ad Aldo Moro, fu tra i primi a rispondere all’appello lanciato dagli studenti.
Gli anni Ottanta furono anche una stagione di responsabilità, come testimoniano le scelte di Don Antonio. Bisognerebbe parlarne di più. O per lo meno rispondere alla domanda che Perone mette nel risvolto di copertina. “La lotta di mons. Riboldi fu efficace?”. Inquietante la sua risposta. “Non del tutto. Essa avviò una presa di coscienza indispensabile per i successi giudiziari contro la camorra, ma restò anche, in parte, inascoltata, perché egli voleva una riforma del vivere civile di Napoli, della Campania e del Mezzogiorno”.
Magari si può essere meno pessimisti rispetto a Pietro Perone, ma il tempo di un esame di coscienza corale è necessario anche in questo 2023. Al di là dei buoni propositi e degli anniversari.
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