Dopo 41 anni sono tornato a vedere una partita del Varese Hockey, che da un po’ di anni ha la denominazione Mastini per la sua squadra. È stato un tuffo nel passato e negli albori della mia carriera da giornalista: sono stato infatti l’aedo per La Prealpina, al termine degli anni 70 (non rammento con esattezza lo “starting point”) e fino al 1982 quando entrai alla Gazzetta dello Sport, dell’allora H.C. Argo Varese. Giancarlo “Lucio” Filiberti, pioniere assieme al padre Luigi e al fratello Luciano dell’azienda di Cavaria specializzata negli impianti di riscaldamento e raffrescamento, era il patron dei famosi Diavoli Milano. Ma litigò con i gestori dell’allora palaghiaccio di via Piranesi e trasferì armi e bagagli a Varese, dove nel frattempo era sorto un bellissimo e moderno palazzo. Una volta ottenuta la serie A acquisendo il diritto, restava il problema di affrontare la massima serie e, sul fronte della comunicazione, di propagandare l’hockey ghiaccio in città.
Dei resoconti delle partite, finché la squadra varesina era rimasta nelle serie minori, se n’era occupato Umberto Gandini, oggi presidente della Lega Basket, figlio di Anna Maria (corrispondente della Rai e del Corriere della Sera e figlia di un ex direttore proprio de La Prealpina). Ma il salto di categoria rendeva impossibile, anche in termini di opportunità, il mantenimento di quell’incarico. “Vuoi seguirlo tu?”, mi chiese. Io avevo cominciato a collaborare con il giornale locale nel 1978, l’hockey ghiaccio mi piaceva (nelle feste natalizie non mancavo di seguire la Coppa Spengler a Davos, un must anche perché la Televisione della Svizzera italiana trasmetteva già a colori) e così fu facile accettare. Entrando nel rinnovato Palaghiaccio di via Albani, la sera della Befana (e della vittoria sul Dobbiaco) mi sono così venuti in mente un sacco di ricordi: il difficile iniziale cammino in A dell’Argo, vessata dai club valligiani che avevano sì voluto la presenza di una realtà lontana dalla loro, ma che allo stesso tempo temevano si affermasse troppo e li oscurasse; l’arrivo di campioni ben noti, quale ad esempio Rolly Benvenuti (ex Bolzano ed ex azzurro), che una volta, mentre ero entrato in spogliatoio per intervistare il portiere Nick Sanza, mi rifilò una bastonata sul malleolo e urlò, sghignazzando, “ti g’ha il parastinchi, mona?”; il tentativo di “corruzione” dell’allenatore Werner Holzner, un antesignano degli “analytics” di Matt Brase (era un drago con statistiche e cifre e fece una tesi sull’importanza, numeri alla mano, del portiere) che volle invitarmi a cena a casa sua per ingraziarsi il giornalista di riferimento, tentato forse di essere duro viste le numerose sconfitte. Ci furono anche episodi curiosi (durante una trasferta a Torre Pellice, nella nebbia del Novarese, un giocatore – il nome lo evito – ebbe un problema intestinale, fece fermare il pullman, sparì nei campi per espletare e dopo un po’ finì in un pozzo nero dal quale uscì nella maniera che lascio immaginare) e una volta rischiai di essere menato dal già citato Gandini: quando nella stagione successiva fu acquistato Ico Migliore, un gran bel colpo di mercato, gli chiesi di aiutarmi a descrivere sul giornale le sue qualità tecniche. Umberto si perse un po’ troppo nel decantarne la potenza e la prestanza del fisico: così, visto che le burle mi sono sempre piaciute, impostai l’articolo e il parlato come se trasparisse una sua passione da gay. Apriti cielo: “Ma che cavolo mi fai dire?” attaccò incazzato come un toro. Sulla prosecuzione della telefonata, omissis. Bene, la sera della Befana tutto questo (e altro) mi è tornato in mente. Ma ho anche notato, oltre alla straordinaria bellezza del palaghiaccio riaperto, che la passione di Varese per l’hockey ghiaccio – e per i suoi Mastini – resta alta. Anzi, altissima e sempre più forte. Due, in particolare, gli aspetti che mi hanno colpito: i tanti giovani sugli spalti e la numerosa componente femminile della tifoseria. E di quest’ultima s’è stupita, prima di me, mia moglie.
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