Fa freddo in Piazza San Pietro. Fa freddo e c’è pure la nebbia. Se non fossi certo di aver preso un treno la sera prima, penserei di essere ancora a Milano. In quella piovosa piazza Duomo dove nel Febbraio 2005 l’allora cardinal Ratzinger si recò a celebrare i funerali di don Luigi Giussani pronunciando quella frase fulminante: «Era cresciuto in una casa povera di pane ma ricca di musica e così, ferito dalla Bellezza infinita, aveva trovato Cristo».
Fa freddo. I fedeli si arrangiano come possono con sciarpe e berretti. Non stonano gruppi di pellegrini tedeschi nei tipici costumi bavaresi. Una ragazza di fianco a me pensa siano alpini. “Danke Papst Benedikt” recitano gli striscioni. E la folla che sin dalle prime ore del mattino di questa vigilia di Epifania (ma anche nei due giorni precedenti) riempie la piazza, è la rivincita più bella per questo Papa osteggiato e incompreso oltre misura durante la sua esistenza.
Certo in questi quattro giorni, dall’inattesa notizia del decesso ai funerali, è stato tutto un diluvio di ritratti, ricordi, commemorazioni, secondo la consueta gara dei media al “io lo conoscevo meglio…”. Ma di “mea culpa” per come la stampa ha trattato negli anni questo mite e umile teologo ne ho letti pochini, forse nessuno: meglio pensare che titoli come “Panzerkardinal” siano stati incidenti di percorso
Fa freddo in Piazza San Pietro. Preti (tanti), boy scout, mamme con passeggini, suore, badanti, giovani, turisti e pellegrini pregano in silenzio: «Benedetto, fedele amico dello sposo, che la la tua gioia sia perfetta…» mormora Papa Francesco. E di gioia in terra il Papa emerito ne deve avere sperimentata pochina. Forse durante gli anni del suo amato insegnamento nelle università di Bonn, Munster, Tubinga e Regensburg, quando nonostante gli anni della contestazione gli alunni affollavano le sue lezioni suscitando l’invidia degli altri docenti. Poi, invece dell’insegnamento, gli asettici corridoi della curia romana, i dolorosi tradimenti del segretario Gabriele, i gravosi impegni del Pontificato.
Porte chiuse per lui all’Università la Sapienza di Roma quando, il 15 Gennaio del 2008, l’ateneo – sull’onda delle proteste di alcuni docenti e dei soliti extraparlamentari – annullò il programmato intervento su “Fede e ragione”. Caso mai accaduto in Europa: “Vergogna” titolò Giuliano Ferrara sul “Foglio”. Fede e ragione che sono pure gli architravi del famoso discorso di Ratisbona e delle conseguenti incomprensioni con il mondo islamico e che comunque costarono la vita a Mogadiscio ad una suora italiana, Leonella Sgorbati.
Fede e ragione, rapporto su cui Benedetto XVI si è continuamente interrogato nel nulla culturale che ci avvolge, richiamando la fede biblica e la filosofia greca a rinnovare una alleanza per salvare le caratteristiche dell’umano. Ratzinger è stato tra i pochi ad aprire una riflessione sull’illuminismo. A lui non dava fastidio la scienza, ma non capiva perché la ragione, dopo Kant, si fosse identificata solo con le conquiste della scienza moderna: la fede assiste e purifica la ragione nella ricerca dei fondamenti della verità, così come la ragione corregge la fede che rischia di diventare cieco fanatismo (vedi la conquista europea della distinzione tra stato e chiesa).
Ma chi oggi ha voglia di riprendere questa eredità?
Ho incontrato Papa Ratzinger quando il nostro capo della redazione vaticana Rai organizzò un’udienza privata per la radio. Arrivò alla fine di una giornata faticosa con decine di incontri, alcuni impegnativi come possono essere quelli in agenda di un Pontefice. Eppure entrò disponibile, sorridente e garbato. Volle salutare e conoscerci uno per uno. Esortò a cercare nel nostro lavoro il coraggio della verità. «Per fare un gesto così ci vuole un coraggio enorme ed un’umiltà infinita»: così l’allora cardinale di Buenos Aires Bergoglio commentò la notizia delle dimissioni di Ratzinger dopo 2873 giorni di Pontificato. Ignaro della sorte che lo attendeva da lì a pochi giorni a Roma, in due concetti fotografò le caratteristiche del Papa emerito.
Umile e coraggioso. Al punto – lui che ha scritto milioni di parole, migliaia di lettere, centinaia di discorsi, decine di libri – di poter sussurrare in punto di morte solo quattro parole: «Gesù, ti voglio bene».
Chi tra i cristiani non vorrebbe morire così?
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