L’articolo 29 della nostra Costituzione sancisce che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Naturale per i Padri costituenti significava che i coniugi contraenti dovessero essere di sesso diverso. Aldo Moro il 15 gennaio 1947 interpretava l’aggettivo naturale nel senso di razionale. Lo Stato era così chiamato a riconoscere una realtà originaria e primigenia, la famiglia risultando una anteriorità sociale e antropologica, non un dato sociologico creato dalla Costituzione. Conseguenza: l’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi. Oggi, in un diverso contesto sociale, più voci si rifanno invece a un’interpretazione evolutiva di tale principio su basi privatistiche.
Per la Dottrina sociale della Chiesa parimenti la famiglia è la cellula vitale della società (una priorità rispetto a questa e allo Stato) e il matrimonio è considerato un sacramento contraddistinto dai seguenti tratti: totalità, unità, indissolubilità e fedeltà, fecondità (nella sua verità oggettiva è ordinato alla procreazione – non esclusivamente – ed educazione dei figli).
L’articolo 31 della Costituzione obbliga poi la Repubblica ad agevolare con misure economiche ed altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù.
Oggi purtroppo si avverte un deficit sconsolante di politiche a favore della famiglia in un contesto di crisi grave e generalizzata. La famiglia stessa accusa bassa fecondità, è sempre più piccola e sempre più anziana, conosce lo sradicamento per la forte mobilità, un sovraccarico di impegni per le donne, tra l’altro sempre meno occupate, nel conciliare tempi di lavoro e vita familiare, senza percorsi efficienti di accesso ai servizi.
L’organizzazione del lavoro in funzione della concorrenza di mercato e del massimo profitto (specie speculativo) si oppone a una visione integrata di vita pubblica e vita privata, crea una società di individui priva di valenza pubblica, privilegia una visione centrata sull’individuo, non sulla persona e sulla rete di relazioni (la famiglia è soprattutto un bene relazionale). I temi del lavoro e del welfare sono declinati in chiave essenzialmente individuale (e centrati soprattutto sul maschio adulto). Il lavoratore ottimale per un sistema produttivo che si vuole sempre più flessibile risulta un individuo atomistico. Abbiamo invece bisogno di fiducia, di apertura al mondo con possibilità di crescita umana secondo una visione personalista, che si fondi sull’infinita ricchezza dei rapporti interpersonali.
Non si vuole proporre ed elevare una barriera arcaica e irrealistica contro le spinte alla modernizzazione, quanto evitare la precarizzazione della vita familiare, riscoprire la domenica come spazio di tempo non commerciale, giorno della cura delle relazioni personali e con Dio, restituire alla famiglia un quadro di ragionevole stabilità, visto che è una risorsa più che un problema, con una risposta in termini di responsabilità sociale quanto a previdenza, fisco, sanità, scuola, trasporti, cultura ed assistenza. Bisogna valorizzare ulteriormente la solidarietà familiare, la differenza e complementarità al contempo di chi si impegna in questa istituzione, che deve la sua stabilità e retta funzione all’ordinamento divino, non essendo creazione dovuta a convenzioni umane e a disposizioni legislative.
La famiglia, prima società naturale, costituisce la migliore garanzia contro ogni deriva di tipo individualistico e collettivistico, mentre le unioni di fatto, pur civilmente in qualche modo riconoscibili, rispondono a un’impostazione del tutto privatistica del matrimonio e della famiglia.
Il settimo incontro mondiale sulla famiglia, in programma a Milano dal 30 maggio al 3 giugno, offre in materia temi plurimi di trattazione grazie anche all’ospitalità del cuore, assumendo un carattere teologico-pastorale di riconduzione agli elementi fondanti il nostro vivere.
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