In un mondo che va alla velocità della luce, temo che la parola “attesa” stia correndo un serio rischio di uscire dal vocabolario. Basti pensare a quanto sempre più spesso ci si aspetta una risposta in tempo reale, un risultato a stretto giro, una consegna a poche ore da quando è partito l’ordine. Mi fermo un momento e provo a mettere in fila qualche riflessione, citando Monsignor Galantino, in “Vivere le parole”.
“Dal latino ad-tendere, con il suo significato di “essere orientato a”, l’attesa si riferisce innanzitutto all’arco di tempo necessario per trasformare il futuro in presente, per realizzare i nostri progetti, per cogliere i frutti dell’essere qui e ora. Ma la parola attesa non fa riferimento solo al tempo che trascorre, appunto, nell’attesa. Essa descrive sia l’atto di attendere, sia i sentimenti che affollano nel frattempo il cuore di chi attende”.
Ne prendo spunto per un rapido viaggio tra sentimenti, stati d’animo, souvenir.
Che dire dell’attesa come “emozione”? Un esempio, di circostanza. Il Natale della mia infanzia: quanti ricordi! Dal muschio al presepio, dalle luci all’albero, dalla Notte Santa al pranzo. Senza dimenticare la mitica lettera a Gesù Bambino, da riempire con doni che rappresentavano sogni e da inviare a un indirizzo che nessuno ha mai conosciuto (proprio perché non esisteva). Per quanto siano passati più di cinquant’anni, per quanto sia difficile pensare che quel mondo semplice e ovattato esista ancora, sarebbe bello che un certo modo di “emozionarsi” sopravviva anche nell’era dei social, quelli ahimè più digitali che fisici.
Che dire dell’attesa come “pazienza”? L’ho imparata da tante persone. Ne cito due. La prima, Claudio Demattè, “start-upper” della Sda Bocconi negli anni settanta. Da buon trentino, profondamente legato alla sua terra, usava spesso la metafora del contadino: l’importante sono la semina e la coltivazione … i frutti poi arrivano, in tempi e modi che non sempre chi lavora la terra può governare. La seconda, Carlo Masini, uno dei grandi maestri della scuola italiana di economia aziendale. Chi con lui ha lavorato ricorda che, posto di fronte alle situazioni problematiche, ripeteva insistentemente “porta pazienza, porta pazienza, porta pazienza!”. E ricorda altresì che, coniugando pazienza a fermezza, praticando rigore e professionalità, i risultati li portava a casa, facendo crescere allievi e studenti.
Che dire dell’attesa come “speranza”? È quella che prende forma quando si tirano su le maniche, quando si mettono in campo energie positive, quando si lotta contro ostacoli insormontabili, quando si ha fiducia nel futuro …. Lo scenario alternativo è devastante ed è ben sintetizzato nel testo di Galantino: “Se oggi non sappiamo attendere più, è perché siamo a corto di speranza”. In fondo al dirupo le trame alla “En attendant Godot”, fatte di speranze fini a sé stesse, paralizzanti, assurde. In poche parole, di speranze senza attesa.
In conclusione: vivere l’attesa nel senso pieno del termine scatena sane emozioni, allena alla pazienza costruttiva, rende capaci di sperare. Probabilmente la pensava così anche Lucio Dalla quando ha scritto Futura: “aspettiamo che ritorni la luce, di sentire una voce, aspettiamo senza avere paura, domani”.
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