Con i suoi 80 metri di altezza da sempre è elemento distinguibile delle quinte della nostra esistenza, in una città che fortunatamente non ha mai abusato troppo della verticalità nelle costruzioni dell’ultimo secolo, lasciando adeguato spazio anche a un altro simbolo, la Torre Civica.
In questi anni però per il campanile del Bernascone è stato fatto molto di più: è stato rimesso al centro del nostro villaggio. E ciò è avvenuto non solo perché l’opera è diventata oggetto di un laborioso restauro ad attutire la mano del tempo e ripristinare le condizioni di sicurezza, ma soprattutto perché – complice proprio il restauro – sulla nostra torre campanaria si è riacceso un fascio di luce fatto di interesse, conoscenza e affezione.
Era il 2016 quando alcune parti del lapideo e dei mattoni di cui è costituita sono cadute al suolo, provocando una certa comprensibile preoccupazione, in primis per l’incolumità pubblica. Dobbiamo ringraziarle, quelle pietre, quasi una sveglia: in quel momento tutta Varese si è ricordata di avere un monumento – tra le torri meglio disegnate di tutta la Lombardia – dall’alto valore culturale e identitario. Guardare in alto non bastava più: si è dovuto temere di perderlo per sentire il bisogno autentico di riabbracciarlo.
E allora – in contemporanea rispetto a un iter che ha portato a immaginare i lavori di ristrutturazione, poi a trovare i fondi per finanziarli, infine a partire con un cantiere che in poco più di un anno ha interessato tutta la struttura interna ed esterna con opere di pulizia, consolidamento, finitura e protezione – il Bernascone ha ricominciato a essere raccontato, nella sua storia lunga 400 anni e introdotta dalla mano creativa del Mancino, nella sua particolarità e nella sua bellezza.
Il merito maggiore va forse alla ditta Gasparoli, affidataria dell’appalto, rinomata per aver messo la firma anche sulla Mole Antonelliana e sul Duomo di Milano, una squadra di architetti che non si limita a progettare e coordinare, ma fa vivere alle città il recupero delle loro icone ammalorate: «Puntiamo molto sul coinvolgimento delle popolazioni locali quando effettuiamo un restauro - disse qualche tempo fa Paolo Gasparoli, direttore tecnico dell’azienda – perché sono convinto che tale attività consenta di riscoprire dati e particolari che sono per la maggior parte nascosti, sconosciuti. Raccontare un restauro serve ad avvicinare la gente ai monumenti, quelli ignoti al grande pubblico ma che per un determinato luogo diventano identitari: i gioielli di famiglia, insomma, i simboli della propria vita. Negli stessi è bello riconoscersi, perché sono stati fatti dai nostri progenitori, ovvero da chi ci ha generato e sono quindi fondativi della nostra identità, che deve essere riscoperta».
E allora ecco i video professionali a illustrare ogni passaggio fondamentale del cantiere, gioia per gli occhi anche non esperti; ecco “La finestra sul campanile”, il libro con le foto scattate dall’obbiettivo curioso di Carlo Meazza, a immortalare i piccoli e i grandi traguardi ristoratori raggiunti mese dopo mese; ecco addirittura un mini concerto suonato dalla cima del campanile, a riempire di note una mattina qualunque del centro di Varese e a “costringere” i varesini passeggianti ad alzare il proprio sguardo verso il monumento.
Ed ecco, e arriviamo a oggi, all’ultima iniziativa, che permetterà ai cittadini di ammirare da vicino i “Guardiani del Bernascone”, ovvero le otto imponenti teste di leone che adornano la parte alta della costruzione, a quasi 60 metri dal suolo. Una posizione in cui l’occhio umano fatica ad arrivare: da qui l’idea – nata durante il restauro, occasione per rendersi conto della composita estetica di questi elementi – di riprodurne uno a grandezza naturale tramite stampa 3D e di collocarlo sull’angolo basso della parte sinistra della facciata della basilica.
Lì resterà almeno alla fino alla fine di gennaio, ben visibile e a disposizione di tutti coloro che vorranno dedicare un altro pizzico di attenzione al “loro” Bernascone.
You must be logged in to post a comment Login