I misteri dionisiaci traggono la denominazione da Dioniso, dio della vegetazione, dell’uva e del vino, presso i Greci chiamato anche Bacco. Il suo culto non si legava a nessun luogo particolare, a differenza di quel che succedeva per altre divinità, onde la grande popolarità. Di origine tracia, l’acquisizione dei caratteri misterici risale al secondo secolo a.C. Per la connotazione orgiastica nel 186 a.C. i Romani ne condannarono la pericolosità nei confronti dello Stato. Solo in epoca imperiale si cessò dal perseguitarne i fedeli. Dio dell’energia vitale e dell’oltretomba Dioniso era considerato un liberatore per la capacità di tornare alla vita.
Figlio di Zeus e di una donna mortale, Semele, figlia di Cadmo, re di Tebe, Dioniso se la vide perseguitata per gelosia da Era, moglie di Zeus. Su istigazione di questa Semele chiese a Giove di apparirle nel suo aspetto divino, col risultato di rimanere folgorata dal suo bagliore e incenerita. Raccolto dalle ceneri della donna, Dioniso fu assunto all’Olimpo, divenendo però pazzo per il perdurare dalla gelosia di Era. Da allora, coronato dì edera e di alloro, il seguito delle sue peregrinazioni attraverso l’Africa e l’Asia, con un seguito di satiri e di menadi. E nel cuore del suo vagare errabondo Dioniso celebrò le nozze con Arianna, figlia del re di Creta, Minosse. Arianna, ucciso il Minotauro grazie all’aiuto dell’eroe ateniese Teseo, si era vista da lui abbandonata sull’isola di Nasso. Liberata da Dioniso ottenne al contempo il privilegio della divinità. Giunto in Frigia, il dio, grazie a Cibele, si affrancò dalla follia.
Nel culto i fedeli rivivevano il destino di Dioniso, i suoi adepti, in particolare le donne, le menadi, miravano a raggiungere uno stato di estasi e di esaltazione mistica. Erano incoronati da una corona di pampini e indossavano pelli di animale, portando il tirso, verga intrecciata con foglie di vite o d’edera. Gli uomini comparivano nel rito come satiri e sileni. Durante le ore notturne pellegrinavano per boschi e campagne con fiaccole, al suono concitato di flauti e strumenti a percussione, ballando al ritmo selvaggio del ditirambo al grido di evoé e si muovevano vorticosamente fino al conseguimento dell’estasi. Tipico del momento lo stato di ubriachezza. L’estasi preludeva alla fase di partecipazione allo spirito divino.
L’ossesso, l’entusiasta, era posseduto da Bacco. Secondo aspetto del mito era la morte e resurrezione del dio. Gli invasati nel momento supremo dilaniavano un animale, solitamente un capro (tragos) a mani nude, mangiandone le carni crude (diasparagmos). Si rievocava così l’essere stato Dioniso fatto a brani e divorato dai Titani.
Il rito di iniziazione contemplava un banchetto, un battesimo e un’introduzione al tempio. Premessa un digiuno di dieci giorni. Guide del culto un sommo sacerdote, un falloforo, un portatore del latte e uno della fiaccola. In particolare risalto le sacerdotesse, le tiadi. Nel contesto delle feste dionisiache, collegate alla nascita e alla morte della vegetazione, si rinviene l’origine della tragedia greca. Il grande teatro di Atene si intitolava a Dioniso.
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