Non so se anche a voi capita la stessa cosa. Ma da alcuni giorni in coda alla Posta, negli spogliatoi della palestra, aspettando un bus, il discorso cade sempre sulle drammatiche immagini che provengono da Ischia. E subito la discussione prende la china della “tragedia annunciata”, della responsabilità’ degli amministratori, dei condoni promessi o fatti, ripetendo il copione delle parole urlate con cui i talk show televisivi ci inondano ogni sera alla ricerca di un colpevole.
A questo fiume di lamentela (certamente legittimo ma ultimamente sterile ed alla lunga cinico) provo invece a proporre nella discussione una delle tante storie di solidarietà che provengono dall’isola: giovani colpiti dalla tragedia che hanno deciso di raggiungere Casamicciola per dare una mano ai soccorritori.
È il caso di Marta e Matias. Lei spagnola, di Maiorca, lui argentino. «Vi aiuto perché Ischia ha bisogno anche di me – spiega con un sorriso la ragazza al lavoro con gli stivali e secchio in un video diventato virale. Con lei il fidanzato Matias – Siamo venuti perché abbiamo sentito al telegiornale che c’è bisogno di aiuto».
Centinaia di alunni delle scuole di Ischia lavorano da giorni per spalare il fango: qualcuno con la tuta della squadra di calcio di Forio, altri con pale e carriole di fortuna raccogliendo l’invito del vescovo dell’isola Pascarella: «Non lasciamoci schiacciare. La prima risposta che vogliamo dare è un’impennata della solidarietà spirituale e concreta. Giovani e adulti della nostra Chiesa rimbocchiamoci le maniche!».
È la stessa esperienza che mi è capitato di osservare durante la Colletta del Banco alimentare che si è svolta sabato 26 Novembre. Tra i tanti gesti di carità (l’amministratore di una grande azienda che si presenta al punto di raccolta con due carrelli stracolmi di cibo, la madre di famiglia che affida ai cinque figli altrettante buste piene di generi alimentari) mi ha colpito quello di una vecchietta che all’entrata del supermercato prima ci ha scansato dicendo che non aveva i soldi nemmeno per fare la spesa. Poi all’uscita ha consegnato due scatolette di tonno dicendo quasi scusandosi: «Di più’ non posso». Come la vedova che offriva le due monetine al Tempio di Gerusalemme.
Di quante gocce è fatto un mare di bene! Quante azioni nascoste che non fanno notizia! Sono più forti delle colate di fango, dello scontro ideologico, delle accuse reciproche, dello scaricabarile di responsabilità. E reggono la trama di quel poco che rimane ancora di bene comune del nostro Paese.
Faccio catechismo insieme a mia moglie in un paesetto dell’alta Tuscia. Lì poco tempo fa è morta una bambina di tumore. Si chiamava Chiara. Quando domenica scorsa mi è capitato di commentare l’episodio del Vangelo della vedova di Naim, non ho potuto fare a meno di associare la morte di quella bimba del posto al miracolo della resurrezione del figlio della vedova. E chiedermi quasi recriminando: «Perché Gesù non l’hai guarita nonostante le tante nostre preghiere»?
Poi ho guardato all’oratorio, aperto recentemente e dedicato a questa bimba. E mi sono ricordato del gruppo di giovani donne, capitanate dalla stessa mamma di Chiara, che due volte a settimana radunano con amore i bimbetti del paese figli per lo più di agricoltori o braccianti che altresì starebbero a girovagare per strade e campi. Allora ho capito: non è vero che Gesù non ha resuscitato Chiara. Lei ora vive in quella esperienza di carità, nell’amicizia che è nata tra genitori e bimbi del paese. Certo per accorgersene bisogna cambiare lo sguardo, mettere gli occhiali adatti. Ma forse è proprio questo che l’Avvento ci chiede.
You must be logged in to post a comment Login