Non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini coscienziosi ed impegnati possa cambiare il mondo. In verità è l’unica cosa che è sempre accaduta. Questo scriveva Margaret Mead negli anni Sessanta. Forse ora siamo meno fiduciosi nei cambiamenti. Intesi cambiamenti migliorativi, perché di quelli negativi ne vediamo anche troppi. Ma, almeno, l’impegno di piccoli gruppi non può venir meno. Consapevoli che il granello di senapa non è solo una metafora.
Riflessioni che diventano ancora più forti dopo il 25 novembre, la giornata voluta dall’ ONU con una Dichiarazione, emanata nel 1993, sull’eliminazione della violenza contro le donne. A volte per frettolosità diciamo soltanto giornata contro la violenza e tralasciamo la parola eliminazione. E dimentichiamo anche altre “cosucce” come riflettere sul fatto che la giornata è l’inizio di un percorso definito Orange the World, slogan assunto dal 2014, che porta al 10 dicembre, giornata internazionale dei diritti umani.
Sedici giorni di attivismo, di iniziative e di sensibilizzazioni su temi e problemi sempre terribilmente attuali per non rinunciare a trasformare il rosso in arancione. Appunto per cambiare. Vale la pena ricordare le parole di Sima Bahous, direttore esecutivo UN Women. «La violenza contro le donne è una crisi globale… le violazioni dei diritti umani stanno esacerbando la violenza contro le donne».
Gli esempi sono fin troppo noti. Di certo meno le soluzioni. Bisogna riconoscere che dal 7 febbraio 2000, quando l’Assemblea Generale dell’Onu adottò un’ulteriore risoluzione invitando organizzazioni internazionali e governi a promuovere eventi ed attività per sensibilizzare l’opinione pubblica, non sono mancate riflessioni e manifestazioni.
In questo 2022 Palazzo Chigi e altri palazzi istituzionali sono stati illuminati di rosso con i nomi delle 104 donne uccise, numerosi eventi organizzati anche sul nostro territorio da Amministrazioni Comunali, associazioni, scuole. Il 25 novembre non è un data: è una piaga sociale e culturale. Fondamentale, dunque, la sensibilizzazione e la formazione nelle scuole.
Una battaglia – le uniche battaglie che dovremmo combattere sono quelle culturali – contro gli stereotipi e il linguaggio sessista per immaginare – e soprattutto realizzare – un mondo diverso. Interessante – a titolo esemplificativo – un libretto conosciuto da molti insegnanti, Fiabe in rosso di Lorenzo Naia e Roberta Rossetti in cui il finale non è l’arrivo del Principe azzurro ma un modo diverso di rispettare la protagonista.
Sappiamo e critichiamo il cosiddetto sistema di tutela maschile in vigore in molti Paesi di religione mussulmana, ma siamo noi uomini – come scrive il giornalista Emilio Mola – ad aver plasmato nei secoli quella mentalità che fonda la sua legittimazione sulla forza fisica. E che ragiona ( o sragiona) – aggiungiamo – in termini di possesso e di dominio. Fa davvero bene Mola a ricordare che il 25 novembre parla di uomini che uccidono le donne, le opprimono, tolgono loro indipendenza, libertà e autonomia. Installiamo tante, tantissime panchine rosse, come voluto da anni da Tina Magenta, ma impegniamoci tutti a eliminare le radici della violenza che nasce anche dal linguaggio.
Purtroppo anche dal linguaggio giornalistico che – per consuetudine e troppo presto – collega già nei titoli il femminicidio alla volontà della donna di lasciare il compagno. La realtà è ben più complessa, come ci dimostra Maria Dell’Anno nel suo saggio “Parole e pregiudizi. Il linguaggio dei giornali italiani nei casi di femminicidio”. E la violenza ha molte facce. Da combattere con tante panchine arancioni e tantissima cultura, fatta di ricerca di libertà e di riconoscimento di diritti, mai scontati.
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