(O) Succede che una vera globalizzazione passa dal Mondiale di calcio più che dall’Onu?
(S) Sì, tutto il peggio. Vuoi come pretesa di imporre i nostri costumi o per meglio dire quelli della cultura borghese secolarizzata oggi dominante, vuoi come commercializzazione dell’ideale sportivo.
(O) Dici così perché l’Italia non partecipa, altrimenti faresti solo il tifoso e non guarderesti tanto per il sottile.
(S) No. È un fenomeno che investe le Olimpiadi e ogni altra manifestazione pubblica capace di suscitare attenzione. Non è nemmeno un caso che la vittoria del Marocco sul Belgio abbia scatenato i disordini di Bruxelles. Le ragioni di un disagio sociale c’erano da sempre, ma diventano azione quando un fatto imprevedibile accende un faro d’attenzione dell’opinione pubblica mondiale.
(C) La verità è che piccole nazioni crescono, e che stentiamo ad accorgerci della loro importanza finché … l’Arabia non batte l’Argentina, il Marocco il Belgio, la Costarica il Giappone, allora i mondiali di calcio assumono un significato politico.
(O) È vero che la globalizzazione economica è cresciuta, ma forse più al traino della universalizzazione dell’informazione su internet che per fattori economici. In compenso, per noi italiani la miopia non si attenua neppure in questo campo, vedi come immediatamente tutto l’interesse dei giornali e del pubblico è passato sul caso Juventus. Basta una storia relativamente domestica, innescata da vecchi rancori tra i due rami principali della cuginanza Fiat, per far passare in secondo piano una vera e propria guerra culturale che ha di mira oggi il Qatar e di striscio l’Iran.
(S) A questo punto diciamo che è un bene essere rimasti fuori? Così possiamo occuparci dei fatti nostri, senza essere accusabili di autoreferenzialità, forse il male più antico, diffuso e pernicioso del nostro popolo?
(C) Che cosa intendi?
(S) Quello che banalmente vive in ogni italiano come campanilismo. Lo possiamo vedere ingrandito ad altri livelli, pensiamo alla politica nazionale, dove le coalizioni sono dilaniate dalle lotte tra i partiti che ne sono partecipi, i partiti da quelle tra le correnti, le correnti dai personalismi dei capi capetti. Vi servo un brodino culturale ricordando Guicciardini che parlava di attaccamento dei governanti al “particulare” e deplorava il rumore che si faceva per “la caduta di un piccolo castelluccio”. Però non deploro la globalizzazione, dico che va presa sul serio e che si difendono gli interessi nazionali, non chiudendosi su stessi, il malinteso sovranismo, ma cercando leali collaborazioni, reciprocamente rispettosi delle diverse culture e tradizioni.
(C) Paradossale trovarci a fare l’apologia della mondialità in occasione di una nostra assenza, ma discordo profondamente dal “metodo Infantino”, quello che dichiara “«Quello che sta accadendo in questo momento è profondamente, ingiusto. Le critiche al Mondiale sono ipocrite. Per quello che noi europei abbiamo fatto negli ultimi 3000 anni dovremmo scusarci per i prossimi 3000 anni, prima di dare lezioni morali agli altri. Queste lezioni morali sono solo ipocrisia». E si autodefinisce “Mi sento qatariota, africano, arabo, migrante, gay”. Costui non si sente in imbarazzo di stare a fianco del principe saudita Mohammed bin Salman al Saud, non proprio famoso come esempio di rispetto dei diritti umani e civili.
(S) Però è un principe generoso, se è vero che ha deciso di regalare una Rolls Royce a ciascuno dei 26 calciatori nella rosa dell’Arabia Saudita al Mondiale, come premio per la vittoria sull’Argentina.
(C) L’unico che potrebbe comprare la Juventus e togliere dalle ambasce la più importante famiglia e il più numeroso ‘campanile tifoso’ d’Italia. Ma lasciamo che su queste faccende decidano le magistrature competenti, visto che non si tratta di questioni solo sportive ma eventualmente di veri e propri reati finanziari a carico di una società quotata in Borsa. Torno all’apologia della mondialità (che non è la globalizzazione finanziaria) per tentare d’indicare un metodo per la resilienza dell’Italia, imparando proprio dalle vicende calcistiche nazionali. L’assenza della nostra nazionale ci consentirebbe proprio di guardare il mondo intero, sia pure attraverso la lente azzurra del calcio, come all’orizzonte cui collocare la nostra attenzione, curando la miopia intellettuale da cui siamo afflitti, trasformando la crisi interna in opportunità internazionali, consapevoli dei nostri limiti e della necessità di superarli. Come tanti anni fa al giornalista che chiudeva l’intervista alla vigilia di un derby dicendo “vinca il migliore” il buon Nereo Rocco rispose “speremo de no”.
(O) Onirio Desti (S) Sebastiano Conformi (C) Costante
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