Le tre minoranze in Parlamento dovrebbero agire insieme o almeno coordinarsi? Sarebbe auspicabile per il buon funzionamento della democrazia e per lo stesso governo in carica ma non bisogna farsi illusioni per non cadere poi preda di un pericoloso smarrimento.
La preparazione della campagna elettorale del 25 settembre era stata un disastro: gli equivoci e gli egoismi delle future opposizioni aumentavano man mano che miglioravano i sondaggi per la destra, ossia per Giorgia Meloni. Ad un certo punto è sembrato più intrigante vedere quali fossero le distanze fra le tre minoranze piuttosto che fra loro e i sicuri vincitori. Vediamo come stanno le cose adesso.
Il Pd ha lanciato la proposta del coordinamento ma è alle prese con un congresso combattuto e dall’esito incerto. Si continua con il mantra “prima i contenuti e poi la leadership” come se le due cose, a poco più di due mesi dalle primarie, non fossero strettamente connesse. Quasi impossibile prevedere un assestamento prima di allora.
Calenda e Renzi, che ancora mi ostino a ritenere di centrosinistra, mostrano però spesso di voler giocare la partita da soli per sperimentare la potenzialità di un centro autonomo che di volta in volta possa schierarsi di qua o di là. Molti elettori lo potrebbero giudicare un equilibrismo opportunistico.
Il M5S sta cavalcando il reddito di cittadinanza come arma di difesa (o conquista) di consensi ma non penso che questo solo obiettivo possa garantirgli il “timbro” progressista. Sulle migrazioni, ad esempio, ha profondamente deluso non dicendo una parola di fronte ai derelitti che in mare soffrivano le pene dell’inferno e rischiavano la vita.
Se ci fosse un forte e radicato senso delle autonomie territoriali, allora si potrebbe invece iniziare una partita diversa su un altro terreno di gioco. Ma non è così.
Prendiamo la Lombardia. Calenda, che con la nostra Regione non c’entra nulla, ha fatto subito sua la candidatura di Letizia Moratti: per voler vincere sulla destra o vincere sul centrosinistra odierno?
Il Pd ha deciso di giocare la buonissima carta di Pierfrancesco Majorino con ritardo e dopo aver inutilmente cercato di allargare la coalizione con l’idea delle primarie ma con un percorso ondivago e insicuro.
Il M5S non si muove se non su ordine di Conte fino a pochi giorni fa completamente immerso nel gioco centralista romano. E tuttavia i suoi cambi repentini sono noti.
Cambierà qualcosa dopo queste elezioni? Il risultato lombardo potrebbe forse aprire uno spiraglio 1) se la Moratti non ottenesse l’esito sperato e se fosse superata da Majorino (cosa del tutto possibile); 2) se il risultato dei cinquestelle (andando da soli) confermasse al Nord il loro isolamento; 3) se il Pd regionale ritrovasse autostima, volontà e capacità di unire.
Lo so che questo è l’ottimismo della volontà di uno come me legato ad una precisa visione di futuro. Ma anche in politica lasciarsi prendere dal pessimismo è catastrofico.
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