La reazione di Francesco di fronte alla tragedia ucraina mette in luce l’estrema diversità di carattere rispetto a un illustre predecessore, Pio XII, il Pastor Angelicus che ebbe in sorte di assistere alle crudeltà della Seconda guerra mondiale. Colpisce che di fronte al ripetersi delle atrocità belliche la voce di Bergoglio si faccia sentire alta e stentorea, mentre quella di Pacelli fu flebile e silenziosa, per molti storici incerta e colpevole. Se il primo si offre di andare a Mosca e a Kiev per propiziare la pace senza tacere il proprio giudizio circa l’attribuzione delle colpe e delle responsabilità, il secondo si chiuse in un ostinato silenzio che molti studiosi tuttora condannano.
È un confronto impossibile? Troppo differenti le epoche e le circostanze storiche? Troppo difficile se non arbitrario sintetizzare le complesse personalità dei due protagonisti? Indagarlo sarà forse compito di qualche storico, possibile materia di studi e di approfondimenti. Un obiettivo reso arduo dal fatto che il giudizio finale sull’operato di papa Pacelli, pur sottoposto a centinaia di analisi e di verifiche dagli studiosi di tutto il mondo, non è stato ancora dato. Anzi, a quasi 80 anni dalla fine del conflitto, le indagini proseguono senza sosta. Ne è un esempio il nuovo libro di Andrea Riccardi intitolato “La guerra del silenzio” edito da Laterza.
Romano, 72 anni, docente universitario di storia contemporanea, fondatore della Comunità di Sant’Egidio ed ex ministro per la cooperazione internazionale nel governo Monti, Riccardi ricostruisce l’atteggiamento del Vaticano nei confronti del nazismo e riflette sulle responsabilità di Pio XII dopo aver consultato le carte dell’Archivio Apostolico. Un papa incerto? O fin troppo sicuro di sé e “pilotato” dalle proprie idee politiche, dalla convinzione che i pericoli per l’umanità venissero dal comunismo (che si affrettò a scomunicare nel dopoguerra) e non dal nazi-fascismo che rifiutò di condannare in modo esplicito, benché da molti gli fosse richiesto?
Pio XII era “mite, cortese, timido, insicuro… – osserva l’autore in una bella e ampia intervista concessa ad Aldo Cazzullo del Corriere della Sera (27/11/2022) – Il papa temeva di inasprire l’occupante, era un diplomatico e voleva sempre tenere aperta una via di mediazione. Anche se Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, non avrebbe mai potuto organizzare la rete di protezione degli ebrei e degli antifascisti senza il consenso di Pio XII. Alcuni storici obiettano che manca l’ordine scritto. Ma sarebbe stato un grave rischio metterlo per iscritto”. E Pacelli tacque. Lo fece per paura che Hitler colpisse per ritorsione le comunità cattoliche?
Non protestò contro le leggi razziali del 1938, “seppellì” l’enciclica del predecessore Pio XI che si esprimeva contro l’antisemitismo e non spese una parola sulle deportazioni. Sapeva che milioni di cattolici tedeschi erano nazisti e temeva che criticando il nazismo avrebbe rischiato uno scisma. E non intervenne per bloccare il treno che partì dalla stazione Tiburtina il 18 ottobre 1943, due giorni dopo la “retata” degli ebrei strappati alle loro case nel ghetto di Roma. Prima di partire per il lager, donne, uomini e bambini ebrei furono rinchiusi due giorni dalla Gestapo in un collegio militare a pochi isolati da S. Pietro. Confidando, inutilmente, nel papa.
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