«Chi infrange le regole a scuola va umiliato» – dice proprio così il nuovo ministro dell’istruzione e del “merito” (ritenuto, spero, solo come randello ideologico e non come valore conquistato con sacrificio!). Evviva l’umiliazione, dunque, come mezzo educativo per trasformare la nostra scuola! Il giorno dopo la sua dichiarazione, il ministro, docente universitario con molti incarichi e numerose pubblicazioni, ma, ritengo, con poca esperienza di magistero, ha cercato di difendersi dichiarando di essere stato non compreso: caro Ministro, le parole dette sono tali solo se hanno un senso e generano chiarezza di pensiero e non scarsa lucidità, non le pare?
L’espressione del ministro mi ricorda un’intervista rilasciata da Gianfranco Fini nel 2002: «I nostri figli sono in mano ad un manipolo di frustati che incitano all’eversione» e a quella di Berlusconi: «La scuola è in mano a poteri forti della sinistra» che fa il paio con quella di un altro politico che così si espresse: «Una nazione senza identità è come un uomo senza qualità».
Pertanto, autorità, severità, rigore, ordine devono essere imposti a tutti i costi giungendo perfino all’umiliazione del discente o alla cacciata dalla scuola dei docenti “di sinistra”. Ecco la nuova pedagogia italiana.
Che la nostra scuola, schiacciata dalle competenze che hanno occultato le conoscenze, ostile alla dimensione del merito, del dovere, della selezione sia circondata da una classe dirigente impreparata, invasa da docenti minimalisti a loro volte resi tali da università che trasmettono le conoscenze, ma non il modo per comunicarle, tutti presi dal burocratismo, dai concorsi, dalle riunioni, dai progetti; che questa scuola non riesca a conferire alcuna autorevolezza, alcun amore o alcun rispetto ai suoi allievi sono io il primo a dichiararlo, ma a manifestare di cambiare la scuola selezionando gli studenti fino all’umiliazione degli stessi è una vera cialtroneria.
Tale atteggiamento deriva da coloro che identificano la scuola come un imponente diplomificio che serve per procurare mani abili al lavoro, ma non per formare teste pensanti, scuola che vede nei docenti coloro che riempiono il cervello di date, di formule, di nozioni come se l’allievo fosse un vaso da riempire e non una fiamma da suscitare nel suo cuore uno stimolo straordinario alla propria stessa preparazione e cultura.
L’umiliazione per un’interrogazione andata male, un giudizio espresso frettolosamente, una punizione ingiusta può sì umiliare lo studente, ma riduce il rapporto educativo a mero scambio di premi/castighi, a baratto che cerca il tanto, non il giusto. E dopo l’umiliazione verrà la delusione e dopo ancora il rigetto e la stanchezza.
Umiliare un giovane quando si esige che il sapere sia una semplice ripetizione o quando un atto indisciplinato deve essere punito, magari da personalità deboli, può aumentare frustrazioni e angherie legate a situazioni immodificabili. Quei giovani sono spesso vittime di un’educazione rigida di madri impositive, ricattatorie, che negano ogni libertà o oppressi dall’assenza del padre. L’umiliazione sarebbe un ulteriore stigma che porterebbe al bullismo e all’abbandono scolastico, a dichiararli inadatti a crescere, che è un invito a morire.
La scuola non ha bisogno di umiliare i suoi studenti per farli crescere. Ha bisogno al contrario di capire il dramma della violenza giovanile, di scoprire il tipo di relazione che vivono in famiglia. C’è bisogno di una scuola che aiuti a vivere, soprattutto i più deboli, che non escluda nessuno, ma proponga a ragazzi e a giovani a collaborare in gruppo, a gustare la bellezza, il silenzio, ha bisogno di insegnanti che lascino “un segno”, di maestri (da: magis = di più) che siano “di più”, non degli amici a cui dare del “tu”, che siano esempi di vita e che abbiano il piacere di insegnare.
E di un ministro che abbia al suo centro una visione generale della scuola e non pensi solo a cambiarla umiliando studenti e docenti.
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