Omertà, negligenza? Sarà la legge tedesca a stabilirlo. Il papa emerito Benedetto XVI si difenderà nell’aula di un tribunale bavarese dall’accusa di “mancata vigilanza” in un caso di pedofilia che avvenne a fine anni ’70 quando era arcivescovo di Monaco di Baviera. L’azione civile si riferisce alla denuncia sporta da un uomo oggi 38enne che subì abusi sessuali da un prete pedofilo (già per questo condannato). Scoperto e trasferito a Monaco, il religioso non fu inibito al sacerdozio ma trasferito altrove dove reiterò gli abusi. Ratzinger ha accettato di testimoniare con altri responsabili dell’arcidiocesi evitando il rischio di una condanna in contumacia.
La scelta coraggiosa di contribuire a fare luce sull’episodio senza nascondersi dietro ai possibili vantaggi del ruolo e dell’età va nella direzione voluta dal successore papa Francesco, che pretende una Chiesa trasparente e senza zone d’ombra. In Francia è esploso proprio in questi giorni lo scandalo degli undici vescovi sotto inchiesta per casi di abusi sessuali e l’operazione-pulizia procede anche in Italia con il primo report, reso pubblico dalla Cei per il biennio 2020-2021, che raccoglie le segnalazioni di 89 vittime e di 68 presunti responsabili attraverso la rete dei Servizi per la tutela dei minori e nei Centri di ascolto diocesani.
Le segnalazioni riguardano 30 preti, 15 religiosi e 23 laici e costituiscono una prima fotografia dello status quo: d’ora in poi il report sarà pubblicato annualmente. Solo 90 delle 226 diocesi italiane hanno aperto un centro d’ascolto e solo un terzo di essi ha segnalato problemi. In oltre la metà dei casi, gli autori dell’abuso con ruoli ecclesiali hanno tra 40 e 60 anni, tra i laici figurano insegnanti di religione, sagrestani, animatori di oratorio e catechisti. I fatti si verificano di solito in ambito parrocchiale (33,3%). Dodici vittime su 89 hanno da 5 a 9 anni, ventotto tra 10 e 14, trentatré da 15 a 18, sedici sono adulti vulnerabili con oltre 18 anni.
L’indagine serve a verificare la tipologia, l’età e la provenienza di chi abusa, a delineare i profili generali delle vittime, ad affinare le conoscenze e gli strumenti per prevenire futuri casi. Ma c’è un’inversione di tendenza: “Stiamo uscendo dall’idea che i panni sporchi si lavino in casa”, spiega l’arcivescovo di Ravenna, Lorenzo Ghizzoni, che presiede il Servizio nazionale per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. Rispetto al passato è un importante passo avanti. Le indagini si estenderanno ora ai 613 fascicoli aperti presso la Dottrina della Fede, l’ufficio responsabile per i processi canonici dei preti, relativi ad abusi avvenuti dagli anni ’50 in poi.
Non significa che ci siano 613 preti pedofili a piede libero: “I casi segnalati possono riferirsi anche a prima del 2000 – precisa il segretario generale della Cei e vescovo di Cagliari, Giuseppe Baturi – Una singola persona potrebbe essere responsabile di più abusi e le segnalazioni potrebbero essere state nel frattempo archiviate”. La strada della chiarezza è imboccata, ma non tutti i commenti sono positivi. La rete L’Abuso accusa il rapporto della Cei di riferirsi a soli due anni con i dati limitati agli sportelli diocesani, senza alcun accenno agli indennizzi, al supporto alle vittime e alla collaborazione con l’autorità giudiziaria, se non a indagine aperta.
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