La grande manifestazione per la pace che ha riunito donne e uomini, giovani, organizzazioni cattoliche e laiche, sindacati, movimenti per la pace ha fatto nascere l’eterno dilemma: quegli uomini fratelli nella fede e tutti simili nell’umanità erano solo pacifisti a parole o uomini che lottano per la pace, quelli che il Vangelo chiama “operatori di pace”, cioè pacifici. Qual è la differenza?
I pacifisti rifiutano senza “se” e senza “ma” il ricorso alla guerra e alle aggressioni. Lottano per la pace, ma da questo splendido principio alcuni fanno discendere l’applicazione alla realtà e rischiano di contaminarsi con logiche contrarie alla loro coscienza.
Vorrei ricordare tra costoro Tolstoj, Capitini, Gandhi, Martin Luther King, Nelson Mandela, don Milani e tanti altri: sono accusati di essere utopisti, i pacifici sono più realisti. Entrambi condannano la guerra come un abominio. Cercano di sradicare il male dal cuore dell’uomo abolendo la vendita delle armi, specie se nucleari, perché immorale, vanno alla ricerca dei processi storici che sono più importanti del presente.
I pacifici lottano per la pace cercandola attraverso il dialogo, l’azione diplomatica e talvolta l’azione militare. Non aspirano a realizzare grandi imprese. Vanno alla ricerca della verità che dissolverebbe il conflitto. Il loro fine è di risolvere il conflitto con un cammino interiore, sanando il proprio cuore mediante opere che localizza il problema e lo sostituiscono con opere umanitarie immediate non senza pensare ad instaurare la pace.
Per entrambi “chiedere la pace non significa dimenticare che c’è un aggressore e un aggredito” (card. Zuppi), ma solitamente i primi si schierano a momenti con l’aggressore, i secondi parteggiano quasi sempre per l’aggredito. Ci sono poi i cinici che “scuotano le spalle e dicono che tanto tutto è inutile”. E poi ci sono i guerrafondai per i quali l’unica soluzione è la guerra fino alla vittoria finale.
La guerra! Essa ha lacerato tutti i secoli e anche la Chiesa. Il medioevo ha conosciuto la lotta agli eretici, le crociate. Sant’Agostino parla della pace come “tranquillitatis ordinis”, San Tommaso dice che “il principe porta la spada”. Secondo il catechismo della chiesa cattolica c’è un diritto a difendersi anche con le armi in caso di aggressioni, purché la risposta all’aggressione abbia una giusta causa e sia proporzionata al danno subito. Ma esiste una guerra “giusta”? No. Tutte le guerre sono ingiustificabili. Aggredire un altro è esecrabile.
Quando insorge una guerra, è necessario che ci sia un arbitro, un intermediario che cerchi di giungere alla pace. Chi può essere? Un leader religioso? Un uomo che, con diplomazia unita ad una eccezionale forza interiore, incontra l’avversario? Storicamente è stato possibile. Penso al card. Schuster che nei giorni dell’aprile del 1945 incontrò i contendenti per chiedere loro di deporre le armi e di salvare Milano. Penso a Robert Schuman che negli anni ’50 incontrò il rappresentante di un popolo rivale da sempre di quello che lui rappresentava. Entrambi scelsero la strada del perdono e si riconciliarono.
Oggi, pur in una società secolarizzata, Papa Francesco continua ad invocare la pace per la martoriata Ucraina. Avrebbe voluto incontrare i due contendenti, ma il contatto con Putin è complicato anche a causa del consenso che quest’ultimo riceve dal patriarca Kirill.
L’unica strada da percorrere (e le diplomazie lavorano incessantemente in proposito!) è cessare subito il fuoco, avviare un negoziato multilaterale e chiedere al nostro governo di ratificare il trattato ONU sul disarmo nucleare. Nel frattempo, convocare all’ONU una conferenza internazionale per la pace. La pace non va imposta, va trovata perché “è maggiore gloria uccidere le stesse guerre con la parola che gli uomini con la spada, e ottenere e conservare la pace con la pace che non con la guerra” (Sant’Agostino). È quello che hanno chiesto a gran voce gli operatori di pace in cammino a Roma.
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