Inutile nasconderlo. Questo è un momento difficilissimo per il Partito Democratico ed anche di grande confusione.
Il PD è forse l’unico partito nazionale con ancora un radicamento, non personale, con una classe dirigente nazionale e, soprattutto, locale e che fa ancora i congressi per decidere la linea politica. Malgrado tutto questo, oggi è in crisi e a rischio di spaccatura irreversibile.
Le elezioni politiche del 25 settembre perse in malo modo hanno avviato il percorso congressuale e qui ben ha fatto Letta a dichiarare, chiamandosi fuori dalla contesa, di non candidarsi. Ma già sui tempi del congresso, si sono aperti i distinguo. C’era chi lo voleva in tempi brevi e chi lo voleva in tempi lunghissimi. La mediazione è stata un compromesso che fissa a marzo i lavori finali, ma che espone il PD alle incursioni di Conte e dei Cinquestelle da una parte e di Renzi e Calenda dall’altra.
In più, tanto per aggravare il senso di spaesamento dei nostri militanti, c’è la tornata elettorale delle regionali di Lazio e Lombardia che si terrà, probabilmente, nel febbraio 2023.
Il tema delle elezioni regionali mi porta ad una ulteriore riflessione. Sia Conte sia Calenda e Renzi giocano più partite. Dettare il candidato presidente al PD, rendere impossibile la linea del campo largo, imporre scelte centralizzate per cui a Roma e a Milano si deve avere la stessa coalizione cacciando due dita negli occhi ai fieri regionalisti e all’autonomia locale. Risultato? La rincorsa del PD a cercare accordi con alleati che non hanno nessuna intenzione di stringere patti in queste elezioni regionali, ma che perseguono unicamente il fine di spaccare i democratici.
E la domanda “ma perché questo avviene?” ha un’unica risposta. Perché i “corsari” hanno un’autostrada davanti aperta dalle contraddizioni interne del PD. In troppi, dirigenti nazionali, locali e militanti perseguono e credono nel “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”. E questo fornisce armi a chi ci vuole distruggere, ma segna anche una regressione politica del dibattito interno.
La Lombardia. Qui si è aperto un quadro politico nuovo e diverso, ma è un quadro che ancora una volta pone il PD in dubbi amletici. Qui i corsari Calenda e Renzi vogliono imporre il candidato presidente al PD e vogliono identico quadro politico delle alleanze a Milano come a Roma. Il PD continua a parlare di campo largo, ma ha incassato ad ora il niet dei Cinquestelle e, appunto, due dita negli occhi dal terzo polo. Il PD ad ora non ha coalizione, non ha candidato alla presidenza (almeno nel momento in cui scrivo ), ma dice facciamo le primarie per decidere.
Il tema Moratti. Difficilissimo se non impossibile per il PD accettare che chi è stato Ministro, Presidente Rai, Sindaco di Milano e in ultimo Assessore al Welfare in regione Lombardia sino a pochi giorni fa per il centrodestra, sia pure da indipendente senza tessera, possa essere accettato come candidato anche del centrosinistra.
Tuttavia qualche ragionamento s’impone. Innanzitutto dobbiamo ricordare a noi stessi che in questi anni siamo stati al Governo con i peggiori populisti capaci di fare tutto ed il suo contrario, Conte e i Cinquestelle, così come al Governo ci siamo stati anche con la destra sovranista di Salvini e tutto questo in nome della responsabilità. Ecco perché oggi di fronte alla possibilità di vincere in Lombardia non starei a chiedere il “tasso di sinistra nel sangue”.
Io credo che si debba ragionare su due elementi. Il primo. Al di là della sincerità di certe dichiarazioni della Moratti, tutte da verificare, c’è un fatto innegabile e cioè c’è un pezzo di moderati che, fino a non tanto tempo fa, stavano in Forza Italia o la sostenevano e che, in un centrodestra sempre più a destra, non ci stanno più e non vogliono starci. E questo ci deve imporre il tema di come dialogare con questi elettori e questo ceto politico. Secondo. Le scelte devono essere fatte in Lombardia e la Lombardia, tuttavia, non è solo Milano per cui vincere a Milano non significa automaticamente vincere nel resto della regione. Le dinamiche politiche milanesi non sono le dinamiche del resto della regione.
Insomma, per farla breve, io penso che il PD in Lombardia corra seriamente il rischio per effetto delle contraddizioni che ho illustrato di non giocarsi la partita delle regionali e di arrivare terzo. Scenario devastante, se si realizzasse.
L’alternativa? Rinunciare alla presunta autosufficienza. Costruire un programma lombardo, spoliticizzare la competizione, porre il dialogo come primo passo per costruire una alleanza ampia, di partiti e civici, aperta e poi individuare la figura migliore capace di interpretare le ragioni di tutti. E con un PD che non appalti ad altri la rappresentanza né della sinistra né dei moderati.
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