È una sorta di “decimazione” che non implica la condanna a morte, uno ogni dieci, come usava in guerra presso gli antichi romani, ma significa comunque un supplizio, cioè riprendere il mare, forse tornare nei campi in Libia da dove molti migranti provengono e di cui portano i segni delle sevizie. Un tormento, una sofferenza fisica e morale di certo attende gli sventurati che le navi delle Ong soccorrono in mare e hanno la sfortuna di non rientrare tra i “soggetti fragili”. La sfortuna cioè di essere sani. I malati sbarcano, così gli anziani, le mamme, i bambini. Ma può toccare a un papà di essere diviso dalla propria famiglia e ripartire forse senza ritorno.
“Tu si, tu no” è la spietata regola dei cosiddetti “sbarchi selettivi” previsti dal governo italiano. Molti la giudicano un escamotage, una trovata ingegnosa per evitare il rischio di incappare in una denuncia penale per aver negato l’approdo alle navi cariche di migranti come accadeva ai tempi di Matteo Salvini ministro dell’Interno. Con questa nuova formula, riveduta e corretta, non si vieta più l’ingresso della Ong al porto, la si fa attraccare, si seleziona chi ha bisogno d’aiuto, lo si munisce di permesso di sbarco e si rimandano gli altri al mittente. Bollati come “carico residuale”, un termine burocratico che fa pensare a qualcosa che resta nella stiva.
È un trattamento degradante, discriminatorio, anticostituzionale? Lo diranno i giudici del Tar di Roma e del tribunale civile di Catania a cui l’associazione Sos Humanity ha fatto ricorso, attraverso un pool di legali, chiedendo l’annullamento del decreto Piantedosi per la nave Humanity 1 battente bandiera tedesca, con 144 persone a bordo, a cui è stato concesso di entrare in porto. Dopo l’ispezione sanitaria, 35 migranti hanno dovuto restare sulla nave e soltanto in un secondo momento sono stati autorizzati a scendere. Da più parti si sollevano dubbi sul metodo. È possibile “visitare” tante persone in poco tempo, una manciata di secondi a testa per valutare lo stato di salute e il grado di sofferenza psichica?
I mille disperati a bordo delle navi sottoposte alle verifiche sanitarie o tenute al largo delle coste italiane, sono appena il dieci per cento dei diecimila che sono sbarcati nel frattempo sulle coste italiane, senza problemi, dal 22 ottobre al 4 novembre, con il governo Meloni in carica. È evidente che il nuovo esecutivo utilizza il caso delle quattro navi al largo della Sicilia in attesa di attraccare per porre il problema alla comunità europea. Un banco di prova. E si aggrappa al richiamo del papa che sprona gli altri Paesi a non lasciare sola l’Italia di fronte all’emergenza: “Ognuno dia il proprio contributo – insiste Francesco – L’Italia può fare poco senza un accordo con l’Europa”.
Purtroppo da questo orecchio molti Paesi del vecchio continente non ci sentono e sono, curiosamente, proprio gli Stati sovranisti come l’Ungheria e la Polonia, ma non solo, con cui la destra italiana, Fratelli d’Italia e Lega, intrattiene ottimi rapporti e manifesta affinità elettive. L’appello del pontefice è chiaro e non si presta a improbabili interpretazioni di questo o quel partito politico. La chiamata in causa della Ue non è “un’intesa sui valori” tra il governo e il Vaticano, come certi ideologi della destra improvvisamente teorizzano dopo aver sempre definito Francesco un papa comunista. È il richiamo a un’Europa unita dai valori cristiani, dal senso di umanità e di solidarietà e non l’Europa divisa dall’egoismo delle patrie.
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