Dal 5 al 20 novembre si tiene a Villa Mirabello la mostra “Morgione”, patrocinio del Comune e di Anmig, dedicata al grande giornalista, scrittore e vignettista amato dai varesini e noto a livello nazionale. La rassegna fa parte del programma di “Local”, festival del giornalismo promosso da VareseNews. Che organizza l’11 novembre alle 21 nella sala di Varese Vive in via San Francesco un incontro dedicato all’opera di Morgione e al tema della satira.
Ecco come Morgione fu ricordato, alla sua scomparsa, da Maniglio Botti su RMFonline.
Quando nel mese di ottobre del 1969, dopo essere già stato alla redazione della Notte, misi per la prima volta piede in Prealpina per portare un mio pezzullo di cronaca a Peppino Meazza, vecchio alpino, a quell’epoca capocronista, rividi l’amico di una vita, Max Lodi, che picchiettava sulla macchina per scrivere chiuso nel box dei collaboratori, il primo a sinistra scendendo le scale di ingresso.
Ci conoscevamo dalle medie, io e Max. Poi, dopo una mia recidiva, c’eravamo ritrovati nella stessa classe di ginnasio e di liceo per cinque anni. Max, figlio del leggendario Mario Lodi, direttore della Prealpina per tutti gli anni Sessanta – si sarebbe congedato nell’autunno dell’83 con ventitré anni di direzione, il più lungo periodo dopo Giovanni Bagaini – era, come si dice, uno che aveva il giornalismo che gli scorreva nelle vene. Quell’anno, per la Prealpina, aveva già seguito da prima penna la Tre Valli Varesine di ciclismo ed era il vice preferito di Pierfausto Vedani, cronista e capo dello sport, per la grande Ignis e il Varese calcio. A me che giornalista volevo diventarlo da sempre Max disse: guarda, questo è un bell’ambiente di amici, non te ne andare; e io, diffidente, quasi a bruciapelo: ma chi è il più bravo qui dentro? Quello che davvero ci può insegnare qualcosa? E lui: secondo me quello là, magro, biondo nel box di mezzo… Poi te lo presento.
Il “biondo” era Gaspare Morgione. Il grande Gas. In quel periodo in cui io lo conobbi era il redattore addetto agli esteri e Ambrogio Lucioni stava agli interni… “Si dice interno, precisava subito Morgione, perché dalla Libia e dall’Albania siamo fuori da un pezzo e anche il protettorato in Somalia s’è chiuso da un bel po’”. Strana la vita: da lì a quattro anni esatti, mi sarei trovato io a suo fianco, agli esteri, e lui all’interno, quando Lucioni andò a dirigere il neonato Giornale di Varese, il primo quotidiano concorrente costituito in provincia dopo quasi un secolo di monopolio prealpinico.
Il mio periodo lavorativo con Gaspare non fu lunghissimo, proprio a seguito della nascita del nuovo giornale: il direttore Lodi voleva gente giovane in cronaca, che scarpinasse già di buon mattino, fatte salve quelle quattro o cinque ore di meritato sonno. E così ritornai in cronaca stavolta sotto le grinfie di Vedani, che della cronaca aveva preso le redini.
Breve il periodo con Morgione, ma decisivo. Molti pensano che il mestiere di giornalista sia facile: che ci vuole? Tutti sanno scrivere e basta avere fatto un buon liceo… Non è così: in quattro o cinque mesi Morgione mi aveva cotto ben bene; mi lasciò nelle mani di Vedani pronto per correre e per essere mangiato. Mi mancava solo un po’ di scuola di nera, ma neanche Gaspare era un nerista. Capita tuttavia, anche nelle redazioni più piccole, e perciò distanti dal “grande giornalismo”, che ognuno dei giovani rampanti si trovasse un tutor, un protettore… Io, per una sorta di simbiosi caratteriale, lo individuai in Pierfausto Vedani, e anche Max; Enzo Tresca, invece, il terzo dei giovani cronisti, s’era messo nelle mani di Gaspare Morgione, come sarebbe accaduto in seguito a Fausto Bonoldi – Faustino –; Gianni Spartà anch’egli approdato nella squadra in braghette corte diceva ridendo di essere “figlio di nessuno”, passando da un tutor all’altro.
Ma se Vedani usava il metodo maieutico, oltre allo sguardo e alla battuta sferzante, Gaspare teneva scuola per tutti. Da quel buon maestro elementare che era stato. La sera, prima di scendere in tipografia per le impaginazioni, ci si radunava nel suo box. Qualche volta Gas – cui tutti ci rivolgevamo con il lei – insegnava a titolare (Spartà e Bonoldi i suoi migliori allievi), altre volte si dilungava in godibilissime lezioni sulla lingua italiana: i tanti significati della parola piano, per esempio – pianoforte, piano dell’appartamento, avverbio per dire lentamente, pianura, progetto…, – e le domande trabocchetto e curiose: come mai due occhi apertissimi si dicono sbarrati e una porta chiusa bene si dice sbarrata? E via così. Lezioni e amenità.
Nelle sere di tristezza – complice Vedani – Morgione tirava fuori dall’armadietto un faldone nel quale aveva riposto ritagliate dal giornale tutte le nostre cavolate di scrittura (a onore del vero la parola usata era un’altra…), poi pescava a caso e cominciava a leggere, e noi a rotolarci per terra dalle risa. La forza dell’ironia era l’arma del grande Gas. Sempre generoso, sempre disponibile. Anche il suo libro più illuminante e profetico – “Dio creò gli alberi a sua immagine e somiglianza” – probabilmente nacque in queste serate, tra una battuta e l’altra, tra uno scherzo (ma prima bisognava aver lavorato, e bene) e l’altro. Soltanto in un momento non bisognava disturbarlo, Gaspare, il sabato sera – anzi, il sabato notte – quando si chiudeva nel box per “partorire” e disegnare la vignetta della domenica… Arriva? Non arriva? Arrivava sempre. Bellissima, straordinaria. I due “pupazzetti” che parlano e sotto la firma Morgio-ne, spezzata.
Gli abbiamo voluto tutti bene. Come a un fratello maggiore. Anche chi scrive, che una sera, indisponente e presuntuoso, gli rispose male e ricevette uno scapaccione. Come capita, o capitava una volta, tra un maestro bravo e un allievo ignorante e indisciplinato.
Mai scapaccione, caro Gaspare, fu più istruttivo e meritato. Grazie per sempre.
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