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Presente storico

EJA, EJA, EJA ALALÀ

ENZO R. LAFORGIA - 28/10/2022

Manifestazione fascista a Varese (fonte Luce)

Manifestazione fascista a Varese (fonte Luce)

Il 2 febbraio del 1920 nacque ufficialmente il Fascio di Combattimento varesino. Per l’occasione giunse da Milano l’avvocato Michele Terzaghi, del Comitato centrale dei Fasci di combattimento. Terzaghi era un massone ed anch’egli, come Benito Mussolini, proveniva dalle file del Partito socialista. In seguito, il fascismo lo avrebbe messo alla porta. All’assemblea costitutiva presero parte i rappresentanti dei Fasci di Gallarate e Marchirolo e, alla fine della riunione, fu licenziato un comunicato, in cui si annunciava la piena adesione agli «ordini» emanati dal Comitato centrale dei Fasci di Combattimento e l’imminente elezione di un Direttorio locale. Questo fu eletto l’8 febbraio e quattro giorni dopo, il 12 febbraio, fu diffuso un manifesto, che presentava ai cittadini gli obiettivi della neonata forza politica: «opposizione ai denigratori della guerra e della vittoria; valorizzazione di tutti gli elementi che si prestano alla difesa del patrimonio morale ed economico della Nazione; rivendicazione del diritto di libertà di ogni singolo cittadino e di ogni partito costituito; rispettare tutti per essere rispettati».

Successivamente, durante la campagna elettorale della primavera del 1921 e quando si era ormai consumata la rottura tra i fascisti del Varesotto e il Blocco nazionale, il Fascio di Varese organizzò una manifestazione pubblica per l’inaugurazione del proprio gagliardetto. Domenica 8 maggio, le vie del centro cittadino furono imbandierate e sullo stesso balcone del municipio furono esposti drappi tricolori e fasci littori. Radunatisi presso il Battistero, nel centro cittadino, i fascisti e i giovani dell’Avanguardia studentesca (organizzazione fascista nata a Milano il 20 gennaio del 1920 e costituitasi a Varese il 7 aprile dell’anno successivo) raggiunsero in corteo il cimitero di Giubiano, dove, attraverso le parole dell’avvocato Mario Moroni e i versi del reduce garibaldino Carlo Tognella, resero omaggio ai caduti. Quindi il corteo ritornò verso piazza del Podestà per deporre una corona d’alloro ai piedi del monumento al Cacciatore delle Alpi e ascoltare l’orazione del segretario del Fascio di Como, Angelo Balconi.

La manifestazione riprese nel primo pomeriggio, quando fu ricomposto un corteo al quale presero parte i rappresentanti dei Fasci di Angera, Azzate, Besozzo, Busto Arsizio, Cardano al Campo, Como, Gallarate, Gavirate, Genova, Laveno, Legnano, Luino, Marchirolo, Milano, Solbiate, Tradate. Accanto ai fascisti, sfilarono anche i reduci delle battaglie risorgimentali, l’Associazione ufficiali smobilitati, i soci della Dante Alighieri, del Club alpino italiano e i rappresentanti del Collegio civico.

Dopo aver attraversato le vie della città, il corteo fece il suo ingresso nel parco dei Giardini estensi, disponendosi ai piedi della Statua della Libertà, anch’essa imbandierata per l’occasione. Cerimoniere, per conto del Fascio varesino, fu Mario Gramsci. L’oratore ufficiale, l’avvocato Giunio Bruzzesi, dopo i saluti di rito puntò il dito contro coloro i quali «lasciarono ai bolscevichi italiani esplicare la loro propaganda fra le nostre masse operaie nel dopoguerra». Unico vero argine alla rivoluzione comunista, che minacciava il nostro Paese, era stato ed era, a suo dire, il fascismo, «che aveva per scopi principali quelli di salvare l’Italia dal disastro che sopra lei incombeva, e di ricondurre le masse traviate, sulla retta via che avevano abbandonato». Quindi la madrina della cerimonia, Tina Mona, fu invitata a scoprire il gagliardetto, mentre veniva intonata la Marcia reale e la folla elevava il grido «eja, eja, eja, alalà».

Scoperto il gagliardetto, i fascisti giurarono di essere pronti a difenderlo in qualunque circostanza. I discorsi proseguirono dopo il canto dell’Inno fascista. Alla fine, Gramsci chiuse la manifestazione e il corteo si ricompose per sfilare nuovamente in città un’ultima volta.

gramsci

Mario Gramsci e il fratello Antonio

Mario Gramsci, fratello del più noto Antonio, era il quinto dei fratelli Gramsci. Era nato a Sorgono, in provincia di Cagliari (poi di Nuoro, dal 1927) il 9 febbraio 1893. Più giovane di due anni del più celebre Antonio. Dopo aver preso parte alla Grande guerra, fu trasferito presso il distretto militare di Varese. Qui si sposò il 27 novembre 1920 con Anita Emilia Maffei, nata a Palin, in Guatemala, il 30 luglio 1895 e scomparsa il 28 novembre 1982. Promosso capitano, fu inviato a Massaua nell’aprile del 1935 e poi inquadrato nel Regio Corpo Truppe coloniali d’Eritrea. Rientrò in Italia il 3 febbraio del 1939. Richiamato in servizio, partì per la Libia dopo un anno. Fu fatto prigioniero l’11 dicembre 1940 presso l’uadi di el Maktila, non distante da Sidi el Barrani, e internato in campi di prigionia australiani, dove si dichiarò fedele al re. Fu rimandato a Varese in precarie condizioni di salute e qui morì, presso l’ospedale militare, alle ore 23 del 25 novembre del 1945.

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