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Storia

TRA QUIETE E RIBELLIONE

EDOARDO ZIN - 28/10/2022

marciaIl fascismo s’impose nella mia città prima della marcia su Roma. Nella notte tra il 13 e il 14 ottobre 1922 le squadracce assalirono le abitazioni del sindaco socialista e dei consiglieri comunali, li massacrarono di botte e il sindaco fu costretto a firmare le dimissioni. L’indomani, alle 8, il prefetto poteva telegrafare al ministro degli Interni che Vicenza era commissariata. Così mi raccontava mio padre, a quei tempi ventenne.

Vorrei avere la forza di parlare del rapporto tra cattolici e fascisti, aiutandomi solo con la memoria, senza pretesa accademica, ma anche senza confusione, né conformismo, né retorica. Gli studi mi convincono, ma mi persuadono di più le testimonianze di molti uomini e donne che sono stati attori in quel periodo e che ho conosciuti durante la mia giovinezza. Gli studi si possono schierare per vendere illusioni a buon mercato, ma le presenze vissute spesso testimoniano scelte coraggiose, coerenza limpida e fede trasparente.

Dopo la marcia su Roma, Mussolini si dimostrò pio e fedele verso il Vaticano: rimise il crocifisso nelle scuole, rese obbligatorio l’insegnamento della religione nelle scuole, esentò i seminaristi dal servizio militare, migliorò le condizioni economiche del clero e, sotto traccia, tramite prelati a lui fedeli, iniziò dei pour parler per avviare la conclusione della questione romana. Don Sturzo – intransigente nel non dare ascolto alle sirene di Mussolini – fu invitato dal Vaticano a farsi da parte e intraprese la strada dell’esilio. Dopo il delitto Matteotti (1924) anche i popolari, con gran parte delle opposizioni, non parteciparono ai lavori parlamentari in segno di protesta per l’uccisione del loro collega socialista e per chiedere al re di licenziare Mussolini e di sciogliere le camere. Nel 1926, gli “aventiniani” – alcuni dei quali nel frattempo erano rientrati ad occupare il loro scranno in Parlamento – furono dichiarati decaduti: incominciarono gli arresti, le sorveglianze coatte, l’esilio, le detenzioni nel carcere. Anche de Gasperi fu incarcerato a Regina Coeli e successivamente in una clinica romana. Incominciò la dittatura fascista.

E il mondo cattolico? L’episcopato si acquietò in una tranquilla convivenza con un regime che si opponeva all’estremismo socialista e comunista e aveva posto fine a scioperi e disordini. Molti cattolici consideravano il fascismo un fenomeno da utilizzare contro l’anticlericalismo. Con il concordato del ’29 si salvò l’Azione Cattolica, ma a condizione che limitasse la sua azione educativa all’aspetto religioso senza pretese in campo sociale. Il fascismo teneva sott’occhio quei giovani che frequentavano i circoli della Gioventù Cattolica e il clima si faceva sempre più teso finché nel 1931 squadracce fasciste irruppero nella sede centrale della Gioventù Cattolica in via della Scrofa (absit iniuria verbo!), diedero alle fiamme documenti e libri. Pio XI, che aveva definito l’A.C. “la pupilla dei nostri occhi”, intervenne con una severa enciclica di condanna, la “Non abbiamo bisogno”. L’ho riletta in questi giorni e più che vigore polemico vi ho trovato tratti d’ironia: perché si doveva avere paura dei giovani cattolici, un’accozzaglia di conigli, buoni soltanto a portare candele e recitare rosari?

Nell’A.C. di quei tempi non c’erano scontri ideologici o d’interesse, ma una forte tensione per non cedere alle continue, allettanti sollecitazioni esterne. Senza la preghiera, la vita di quei giovani si rammolliva, senza il sacrificio dello studio o del lavoro l’intelligenza si svigoriva, senza la carità la fede s’indeboliva e anche le gravose scalate in montagna servivano per rinvigorire il corpo.

Fu in questi circoli cattolici che molti giovani trovarono risposte chiare alle domande che si ponevano e in cui constatarono la contraddizione tra i valori proposti nei circoli cattolici e quelli affermati dal regime. Molti di loro salirono in montagna per combattere con la Resistenza: sono 87 le medaglie d’oro che onorano l’A.C. Successivamente alcuni furono eletti al Parlamento (nella prima legislatura il 30% degli eletti provenivano dalla FUCI e il 40% dalle file dell’A.C.).

Con il passare degli anni, gli interessi di parte hanno soffocato l’anima della politica. E una politica senz’anima non può non ridursi che ad un puro gioco di potere. Mancano una forte tensione morale ed una forte passione civile. Questa è la differenza tra la politica di ieri e quella di oggi.

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