Gli italiani hanno votato e tutti devono prendere atto della volontà che ciascuno ha espresso col proprio voto. C’è chi si sente malinconico, depresso, passivo, esaurito. C’è chi esulta, chi è contento e chi è borioso, chi esalta la retorica e prepara le parate. Personalmente, non sono logorato né dall’angoscia né tanto meno dalla rassegnazione. Provo solo commiserazione per coloro che difendono ideali monchi e non aderiscono alla verità e alla giustizia. Però, sono interessato: incomincia un tempo nuovo, più difficile forse, più faticoso.
Attendiamo di sapere chi sarà chiamato a formare il nuovo governo e spero che egli sia cosciente della gravità del momento, coerente con le promesse urlate nelle piazze e le sappia attuare; sia competente nel legiferare in sede parlamentare con idee chiare e con programmi non sbiaditi dalle ideologie. Mi auguro che rifugga dalle conventicole organizzate nelle ville del Capo o attorno ai tavoli delle trattorie romane, ma valorizzi il Parlamento, sede naturale della democrazia. Desidero che la tattica non uccida la Politica e calpesti la Costituzione. Mi aspetto che la maggioranza governi con larghi orizzonti e che diventi meno miope. Come pure attendo dalla minoranza un’opposizione ferma, coesa, che sappia interpretare la volontà di quei cittadini che sentono un grande desiderio di libertà e un grande bisogno di giustizia.
Queste elezioni ci hanno immersi in un clima di vigilia, nell’attesa di avvenimenti decisivi da noi voluti o da noi subiti per l’ignavia di molti. Altri analizzeranno dati, flussi, confronteranno percentuali, metteranno a confronto il numero dei seggi. Io mi limito a fare alcune semplici considerazioni: non sono un politologo, sono un cittadino.
Le elezioni hanno chiaramente dimostrato:
*che l’affluenza ai seggi è stata inferiore a quella del 2018: solo sei elettori su dieci si sono recati alle urne. È un fenomeno che si riscontra in altri paesi, dove la mancata partecipazione sciupa la democrazia conquistata talvolta a costo di lotte contro la tirannide. Non abbiamo più passione per i corollari della democrazia che sprechiamo perché innamorati solo di noi stessi e chiudiamo gli occhi agli orizzonti. La fine delle ideologie, la malapolitica ci hanno condotto a vivere nell’orticello privato dei nostri interessi e viviamo della rendita trasmessaci dai padri Occorrerà riscoprire valori, speranze, ragioni comuni che possano metterci ancora in comunione d’impegno.
*che ha vinto la destra. Ma quale destra? Quella di cui ha bisogno il Paese: liberale, che salva l’autentica tradizione di un popolo e contemporaneamente si apre al progresso, amante del libero mercato o quella sovranista, militarista, chiusa, che nega l’emancipazione degli individui, ai quali promette ugualitarismo e non giustizia? Quella che costruisce la massa distruttiva condizionata da sirene senza scrupoli o quella che libera l’umanità?
*che questa destra è stata improvvisamente folgorata sulla via di Damasco e si è convertita all’europeismo e all’atlantismo. Ma quale “europeismo”: quello federalista o quello intergovernativo? Quello delle nazioni o quello dei popoli? Quello della moneta unica o quello che si riconosce nelle radici spirituali e culturali comuni? Quello di Visegrad o quello dei padri fondatori? E di quale “atlantismo” parla? Quello di Trump o quello di Obama?
*che questa destra, apparentemente unita per motivi elettorali e per fare eleggere – complice un’esecrabile legge elettorale – non è poi così compatta come si vorrebbe far credere. Il primo dovere del nuovo Parlamento sarà quello di donarci una nuova legge elettorale.
Abbiamo tutte le ragioni e tutte le prove per dubitare dei veri intendimenti di questa destra. Non sarà sufficiente una vittoria per creare delle convinzioni. Abbiamo bisogno di constatare i fatti che seguiranno alle parole.
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