Metà aprile 1945, manca una manciata di giorni alla fine della seconda Guerra Mondiale. Sul confine tra La Val Poschiavo (territorio svizzero grigionese) e Tirano, in alta Valtellina, si consuma un delitto dai contorni opachi e terribili. Un ingegnere milanese, accusato sommariamente di intelligenza con il rinato fascismo della Repubblica sociale italiana, viene fucilato da un commando partigiano. Alla base delle accuse forse una delazione da parte di conoscenti coi quali era passato in Svizzera per mettere al sicuro alcuni beni e preparare il terreno per un definitivo passaggio della sua famiglia nella neutrale Confederazione.
Si tratta di un fatto realmente accaduto e mai chiarito fino in fondo nel corso di indagini e lunghi faticosi processi istruiti negli anni, sia in Italia che in Svizzera. Una storia con tante verità scomode: quella dei partigiani della formazione i Gufi, quella della magistratura italiana, nei vari gradi di giudizio, fino a quello definitivo di condanna della Corte di Cassazione e quella invece discordante della giustizia svizzera.
Al centro della tormentata vicenda la figura complessa di un sacerdote letterato della Val Poschiavo, Don Felice Menghini che, coinvolto umanamente in quel burrascoso frangente della storia, riesce comunque a tessere costruttivi rapporti non solo coi protagonisti della vicenda ma anche con alcuni intellettuali italiani riparati in Svizzera: Giancarlo Vigorelli, Piero Chiara e Giorgio Scerbanenco. Per lui quasi un’ancora di salvezza in un mondo montanaro sconvolto, anche sul versante grigionese, dalla grande partita politico militare che si stava giocando tra i fascisti, i tedeschi in fuga, i servizi segreti angloamericani, le formazioni partigiane. Quest’ultime intendevano difendere a qualsiasi costo – come di fatto avvenne – i grandi impianti idroelettrici della Valtellina che fornivano energia a Milano e a tutta la Lombardia produttiva.
In questo intreccio di fatti e accadimenti, talvolta molto complicati, si è mosso con grande rigore di ricerca e notevole capacità drammaturgica l’autore Andrea Paganini, scrittore, docente e ricercatore. Dieci anni di lavoro, partendo da alcune lettere trovate in una soffitta di Poschiavo, culminati con la pubblicazione per l’editore Rubbettino di un avvincente romanzo storico “Le indagini imperfette”. Come sottolinea l’autore: “Si tratta di una storia vera, in cui la giustizia si intreccia inestricabilmente con l’ingiustizia”.
Non solo. Siamo di fronte a una nuova indagine vera e propria che a più di settantacinque anni di distanza getta nuova luce su un caso giudiziario che all’epoca suscitò grande clamore su entrambi i versanti della frontiera. Singolare incontro tra romanzo storico, noir e thriller ha al cuore della sua fittissima trama figure forti e dominanti. Su tutte quella di Bianca Fabbri Krauss, donna affascinante e ambigua che Paganini colloca di volta in volta sullo scivoloso crinale dell’innocenza e della colpevolezza spiazzando anche il più attento e imparziale dei lettori. Il volume con le sue 600 e più pagine si chiude con un interessante escamotage letterario che chiama direttamente in causa i lettori.
Il romanzo storico di Andrea Paganini, sarà presentato domenica 2 ottobre alle ore 18.00 a Villa Recalcati, piazza Libertà 1, a Varese
L’appuntamento clou per l’assegnazione del Chiara 2022 è invece fissato per 16 ottobre alle Ville Ponti di Varese (ore 17.00). Come è noto i tre finalisti al vaglio della giuria popolare sono: Michele Mari, Le maestose rovine di Sferopoli, Einaudi; Antonio Pascale, La foglia di fico, Einaudi; Alessandra Sarchi, Via da qui, Minimum fax.
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