“Auguro ai lettori di questo libro di lasciarsi ferire dalla testimonianza di don Vittorione”. Papa Francesco chiude così la prefazione di “Don Vittorione l’Africano – Il ristoratore che rinunciò a servire primi per andare a sfamare gli Ultimi”, biografia del popolarissimo Panzer di Dio. Scritto da Gianni Spartà, il volume (Pietro Macchione Editore) esce in italiano e in inglese. Sarà presentato il 20 ottobre alle 20.30 nella basilica di San Vittore. Ne pubblichiamo il capitolo intitolato “Una camicia di forza”
Secondo Sant’Agostino la capacità incarna una metafora cristiana che ben si addice al cambiamento nel fisico di Vittorio. Egli scrive commentando la parabola dei talenti: «Se devi riempire un sacco e sai che ciò che ti sarà dato è molto grande, ti preoccupi di allargare il sacco il più possibile con la forza del desiderio che dilata l’anima e la rende più capace».
Ampliarsi per fare spazio ai talenti da vivere, non da sotterrare come fece il servo evangelico con i beni ricevuti dal padrone. Per chi crede, è tutta qui la vicenda del gigantesco uomo bianco. Ma si sbaglierebbe a non considerare una sorta di camicia di forza o un’armatura medievale la prigione che racchiude il corpo di Vittorio causandogli sconforto celato.
«Cilicio» l’ha chiamato con felice immagine il giornalista piacentino Sandro Pasquali, intimo di don Pastori. Cilicio nelle due versioni storiche: una stoffa grossolana di pelo di pecora o ispidi di crini di cavallo usata come veste dai soldati romani per esigenze belliche; una cintura ruvidissima e nodosa indossata per fare penitenza dagli antichi asceti. In ogni caso un fardello pesante sopportato con disinvoltura da Vittorio «quale supplementare strumento di santificazione personale».
Un altro scrittore cattolico, Giorgio Torelli, ha spiegato bene quel fardello: «L’uomo che avrebbe avuto diritto, per disagio di salute, di sedersi agli angoli delle strade, possibilmente su tre sgabelli, a protestare un obolo e mettersi a traino, ha invece sprigionato clamorosa energia». E si torna alla capacità, traduzione dal greco della parola «dynamis», dinamismo, dinamite, potenza, forza. Energia, appunto.
Quanta acida ironia si registra attorno a quel monumento di carne piantato su due gambe che devono essere state tralicci. Quanti sguardi muti, non per chi li subisce.
Vittorio non si cura, accetta la derisione che in qualche caso è dileggio. Dal medico va, sia a Varese sia dopo a Piacenza. Gli prescrivono iniezioni che trascura. Gli dicono che, purtroppo, non è problema di dieta. E questo lo autorizza all’ingordigia di fronte alle pietanze preparate da mamma Carmelina.
Così Vittorione si cala nei panni del personaggio grottesco, convinto che come l’abito non fa il monaco, una fisionomia fuori della norma non condanna la persona a non essere presa sul serio. Vero, ma quella persona deve attendere che gli apprezzamenti sul suo agire prevalgano sulle suggestioni legate alla sua stazza.
Non è questione di buoni e cattivi, di bene e male. È la spontaneità dei pensieri condensata in una parola: pregiudizio. Che per i paradossi della vita si traduce in imprevedibile vantaggio.
Chi è stato in Africa da religioso o laico sa che tra i tuguri degli ultimi, tra i miserabili e i denutriti, la corpulenza viene considerata una virtù divina. Lungi dall’essere un difetto, suscita ammirazione, addirittura si traduce in carisma, quasi segno di onnipotenza. Sei grande e grosso, puoi fare qualcosa per noi che siamo piccoli e neri. Ti ha mandato Dio ad aiutarci e lui ti ha fatto così.
Nei suoi primi viaggi in Uganda Vittorione percepisce questo segno di rispetto che probabilmente rafforza la sua vocazione. Ci sono tante testimonianze su questo punto e ci sono nei libri fotografici pubblicati numerose pose nelle quali l’uomo venuto da lontano figura letteralmente sopraffatto dalla scalata di numerosi bambini alla sua mole imponente. È come se le mamme avessero appoggiato le loro creature su quelle braccia che ne possono ospitare tre da una parte, altrettante dall’altra o su quella pancia che si espande quando il busto si piega in avanti offrendo confortevoli appigli.
Vittorione, nelle cerimonie ufficiali, conta più di vescovi e cardinali che sono troppo magri, certe volte minuti, per meritare popolarità. Lui può cominciare a sentirsi come i leoni, le tigri, gli ippopotami, i re della foresta e i principi dei fiumi. Da quelli sì che si deve guardare, dagli umani no. Per loro la sua stazza è una medaglia al valore.
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