L’alluvione che ha colpito le Marche la scorsa settimana ha distolto per qualche ora l’attenzione morbosa del grande pubblico televisivo dalle onoranze funebri per la regina Elisabetta.
Le immagini drammatiche del fango che ha sepolto undici persone, disperdendone altre due (di cui al momento in cui scrivo ancora non c’è notizia) hanno ovviamente catalizzato l’attenzione delle molte (troppe?) trasmissione di softnews che colonizzano il palinsesto televisivo delle reti generaliste. Una situazione in particolare ha sollevato una riflessione amara.
Tra auto rovesciate, case distrutte e ponti crollati, si aggirava nel pomeriggio successivo al disastro una donna; la sventurata aveva perso quella stessa mattina il marito e il figlio 25enne, che poco prima che il cielo facesse piovere la bomba d’acqua, si erano recati nei garage del condominio per mettere in sicurezza le auto, finendo purtroppo loro stessi imprigionati in una tomba d’acqua.
La donna – descrivono i cronisti presenti sul posto – vagava con sguardo perso e una foto del suo ragazzo nella mano e – evidentemente in stato di choc, abbagliata dal bisogno supremo di non rimanere sola col suo dolore immane – ha accettato le richieste di interviste delle troupe appostate nei dintorni. Si è quindi vista da Milo Infante a Ore14 (Raidue), è ricomparsa col suo dolore insostenibile un paio d’ore dopo, dalla D’Urso a Pomeriggio5 (Canale5). Ogni volta, raccontava la sua tragedia, ogni volta, alla fine del collegamento, c’era un senso di smarrimento che coglieva lo spettatore, quando il conduttore di turno, indossando la vocina di simili occasioni, diceva “mi spiace, il tempo è finito”, oppure: “la tv certe volte è crudele, dobbiamo andare in pubblicità”. La rappresentazione (neanche del dolore, ma di quello stato di incoscienza post-traumatica dopo l’evento) che è andata in onda in quelle ore solleva un dubbio: chi ha aperto il microfono in quella occasione ha aiutato in qualche modo la poveretta anche solo per qualche minuto a non cedere allo sconforto, oppure non ha dedicato pietà e rispetto a un dolore inimmaginabile?
La TV è lo specchio dei tempi, lo si dice da cinquant’anni. E lo si è ripetuto con maggiore forza quando, una ventina d’anni fa, il primo reality sbarcò sugli schermi italiani: era il Grande Fratello.
La scorsa settimana è iniziata l’ennesima edizione della variante VIP di questo format, condotta da Alfonso Signorini. Il reginetto del gossip sembra aver vinto al lotto con questa conduzione, che da un paio d’anni coincide con un bisogno ossessivo della rete di fare minutaggio a basso costo, dunque le puntate sono diventate due alla settimana, hanno una lunghezza fuori da ogni logica (che non sia quella di aggiustare la media d’ascolto prolungandosi fino a notte fonda) e si è allungato quanto numero di puntate a una dimensione che quest’anno si propone di battere ogni record: si parla della puntata finale nel prossimo mese di maggio.
L’obiettivo chiesto dall’azienda al programma è quello di fidelizzare l’ascolto, creare un racconto di cui possano cibarsi tante trasmissione “satellite”, nonchè il circo dei giornali rosa (di cui lo stesso Signorini col suo “Chi” è il capofila) e il sempre più importante indotto social, con decine di siti specializzati nel rilanciare scandali, scandaletti e indiscrezioni sui concorrenti in gara. L’obiettivo nella scorsa stagione è stato raggiunto e quest’anno ci riprovano, con un’edizione ancora più extra-large.
Lo specchio dei tempi dov’è? Beh, la reclusione dei concorrenti è iniziata sei giorni prima delle elezioni politiche nazionali, quelle in cui si è lottato contro il fenomeno sempre più grande e preoccupante dell’astensione.
A parole, tutti contro chi non si reca in cabina; ma poi la televisione mostra al grande pubblico un comportamento “VIP” che sembra andare nella direzione opposta. Ma partire col programma una settimana dopo, per consentire ai concorrenti di recarsi al seggio, sembrava brutto. O meglio, anti-economico.
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