Dispersione scolastica. Dispersione è un termine che rimanda alla durezza di una perdita.
Recita il dizionario etimologico: disperdere, parola formata dalla particella dis (divisione) e dal verbo perdere, mandare in parti diverse per modo che della cosa stessa si perda la traccia; far perire in malo modo, mandare in perdizione, sperdere.
Il termine seguito dall’aggettivo “scolastico” suona inquietante perché si riferisce a ragazzi e giovani adulti che hanno perso la strada, cioè a persone a cui la società non è stata in grado di fornire il supporto necessario per compiere un regolare percorso educativo.
La dispersione scolastica è un fenomeno grave, purtroppo non percepito come tale dalla società in generale: dell’argomento si parla un po’ all’inizio del nuovo anno scolastico e, sempre un po’, al termine delle lezioni quando si tirano le somme del lavoro svolto. Il tema viene trattato da qualche articolo di fondo sulla stampa nazionale in occasione della pubblicazione di qualche report internazionale sullo stato dell’istruzione nel nostro paese in comparazione con le altre nazioni europee, per rientrare presto nelle sole mani degli esperti del settore.
Il limitato interesse delle istituzioni, del mondo politico e dell’opinione pubblica dimostra quanto è sottovalutato il problema. E questo nonostante i suddetti report sull’abbandono degli studi da parte dei giovani della fascia 12-18 anni ci collochino al terzo posto nel contesto europeo.
Chi sono gli adolescenti e i giovani che la lingua inglese definisce “early school leavers”? Sono soprattutto maschi, studenti stranieri e ragazzi in ritardo scolastico a causa delle ripetute bocciature, più ragazzi che ragazze, in grave crisi soprattutto nei passaggi da un grado di scuola a un altro.
I dati di Eurostat 2021 segnalano un 13% di abbandoni nella fascia 18- 24 anni a fronte di una media europea del 9,7%. Nella maggior parte dei casi si tratta di giovani già penalizzati da situazioni di disagio sia culturale sia sociale. Alla carenza di mezzi della famiglia si aggiungono le deprivazioni prodotte dall’ambiente: non è un caso che il tasso più elevato riguardi il Sud dove si investe meno nell’adeguamento degli edifici scolastici sovente carenti di mense, palestre, laboratori, biblioteche.
Conosciamo quali effetti negativi può produrre negli anni dell’infanzia, fondamentali per la formazione di base, una scuola povera di risorse materiali, fattore che riduce notevolmente l’efficacia dell’azione didattica. Chi non conclude gli studi avrà ridotte opportunità sociali e culturali perpetuando così le disuguaglianze che hanno generato il fenomeno.
Un dato è certo: le istituzioni non mettono in atto un adeguato numero di interventi per fronteggiare un fenomeno che non solo disperde risorse umane creando ulteriore emarginazione ma trascina verso il basso il livello generale dell’istruzione.
L’Italia è tra i paesi con la popolazione meno istruita anche considerando le generazioni più giovani: solo il 29% dei 25-34enni è in possesso di un titolo universitario contro il 40,5% della media UE. La dispersione scolastica, con la cruda oggettività dei suoi numeri, può aiutarci a valutare quanto una società si sta impegnando sul tema dell’uguaglianza e dell’equità.
Per combattere efficacemente la dispersione serve investire nell’istruzione molte più risorse di quelle attuali che nel 2020 si sono fermate al 3,9% del PIL, al di sotto della media europea che è del 4,3%. Sottolineiamo infine che nei programmi elettorali di molti partiti lo spazio destinato ai temi della scuola come a quelli dell’ambiente si riduce a proposte generiche.
Quanto ai fondi del PNRR, che sono cospicui anche per il settore istruzione, dovremmo impegnarci a spenderli per interventi strutturali evitando di dissiparli in mille progetti dai nomi altisonanti.
Lavoriamo con maggiore determinazione per garantire un futuro più degno alla parte della popolazione scolastica che oggi soffre per un’ingiusta esclusione dall’esperienza scolastica. Potremo consegnare la società di domani a generazioni di giovani più competenti e integrati all’insegna dello slogan, che è anche il titolo di un film cinese del 1999: “Non uno di meno”.
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