Varese, interno notte.
La sala adibita alla conferenza pubblica è allestita a puntino. Ordinate e spolverate le sedie, perfettamente allineato il tavolo dei relatori, bardato nella sua parte anteriore con manifesti di un’eloquenza che solo le elezioni stimolano: un nome, uno slogan, un simbolo e una croce sopra di esso.
Perfetta è addirittura l’anticamera: pure qui un tavolino con i volantini graziosamente impilati, presieduto da una gentile e sorridente militante.
Arriviamo in anticipo, convinti sia d’uopo per avvantaggiarci con il lavoro: un’intervista video, una dichiarazione del candidato organizzatore, qualche foto. Stasera si parla di fiscalità ad hoc per il territorio: Malpensa e frontalieri sono le parole chiave.
Nel mentre osserviamo il flusso delle persone. Si palesano sparute: prima un paio, poi un gruppo di cinque, poi altri singoli. Ne contiamo trenta che il conduttore ha già in mano il microfono. Tanti o pochi non starebbe a noi giudicare, sebbene non sia così difficile farlo… È che, guardando bene quei volti, ci sembra di conoscerli praticamente tutti: ci sono i colleghi di partito del candidato, qualche “compagno” di coalizione, il personaggio dello sport chiaramente invitato e da apparentare e altri giornalisti. Come noi. Gente comune? Non pervenuta.
Varese, esterno giorno.
È un sabato pomeriggio assolato di inizio settembre, di quelli in cui la transizione termica dall’estate all’autunno non si è ancora compiuta. Fa caldo, insomma. Corso Matteotti è una vasca di porfido, dentro vi stanno nuotando almeno un migliaio di varesini. Ragazzini ancora in braghe corte, coppie a braccetto che con i loro sguardi disegnano una V (saranno in litigio, mi chiedo?), mamme e papà con codazzo di figli urlanti e richiedenti, aizzati dai colori della quinta di negozi, ognuno uno stimolo.
L’onda placida dei varesini a passeggio va e viene, lambendo una fila giudiziosa di gazebo. Siamo qui, ahinoi si lavora anche di sabato, per loro. C’è l’intero arco parlamentare distribuito in poco più di 200 metri: ex alleati, futuri amici, destra, sinistra e centro. Il cittadino passa, se va bene guarda, distratto, ma di certo non si ferma: per la maggioranza, a dir la verità, quelle piccole strutture a tenda, quei cartelloni con volti e loghi, quei militanti zelanti, nemmeno esistono. Sono invisibili. Davanti alle postazioni, a far finta massa, ci siamo solo noi e quelli come noi: i giornalisti nel tour delle sette chiese dell’emiciclo.
Benvenuti nella campagna elettorale. Una roba di pochi, una roba per pochi: ci si parla tra addetti alla partita, mentre il popolo se ne frega. E se la televisione, e con lei i social, dove impera la comunicazione immediata, fatta di foto, di video auto-prodotti, di reels e di hashtag, un peso nella formazione delle coscienze ancora lo possiede, l’attività sul campo è un’esibizione. Tanto faticosa per la generosità e l’abnegazione dei militanti quanto poco interessante o addirittura invisibile, sicuramente inutile e superflua, per i suoi potenziali destinatari: il corpo votante.
Come inutile, nello stesso ambito, pare essere il lavoro del cronista. Quel perfido strumento che prende il nome di Google Analytics disegna perfettamente i contorni del “dramma” del disinteresse: l’articolo che relaziona della serata trascorsa a parlare del futuro economico di questo benedetto Paese in crisi totalizza la bellezza di 200 lettori (facciamo 196: quattro volte lo ha riletto lo stesso scrivente, per essere sicuro di non lasciare refusi). Una cifra lontana, ben lontana, dai 20 mila e passa lettori del pezzo su quel cane che, a causa del caldo, ha avuto uno “schioppone” mentre soggiornava sul balcone della casa dei suoi padroni. Poveretto.
Prima che vi preoccupiate: tanto lo spavento, ma si è salvato.
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