Qualche giorno fa ho partecipato all’Assemblea di Confindustria in udienza da Papa Francesco. Esperienza intrinsecamente forte, come sempre quando si incontra il Papa. Ma anche un concentrato di riflessioni e di auspici tendenti a un comune denominatore: il lavoro. Roba da mettersi a contare le citazioni del Presidente Bonomi e del Papa, magari attraverso le moderne tecnologie. Dettagli da data analyst. Punto invece alla sostanza, provando a sintetizzare due possibili chiavi di lettura di quanto ho ascoltato. La prima riguarda “i contenuti” del lavoro; la seconda le sue “determinanti”.
Per quanto riguarda i contenuti, importanti stimoli sono stati lanciati da Bonomi, richiamando l’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium. Ricche di significato e di riscontri le osservazioni formulate sul lavoro “libero”, “creativo” e “solidale”. Ma quel che più mi ha colpito è il concetto di lavoro “degno”, quello che dà pieno compimento alla persona, la quale, come dice il Papa, “si realizza in pienezza quando diventa lavoratore o lavoratrice”. Snocciolando evidenze sui tassi di partecipazione di giovani e donne, sulla crescita dei poveri assoluti, sul numero elevato di NEET, sulla carenza di profili professionali adeguati alle richieste delle imprese, …. Bonomi ha ammesso che, purtroppo, l’Italia non è Paese da lavoro “degno” e che molto resta da fare per renderlo tale. La strada maestra, in poche parole, è: “Lavoro, non sussidi che lo scoraggiano”.
Ciò detto, diventa dirimente discutere su dove il lavoro prende forma, su come lo si determina. Papa Francesco ha esortato gli imprenditori con parole inequivocabili: “Io vi chiedo questo favore: che qui, in questo Paese, grazie alla vostra iniziativa, al vostro coraggio, ci siano posti di lavoro, si creino soprattutto per i giovani”.
Frase di circostanza? Richiesta scontata? Non penso proprio! Da aziendalista di vecchio corso e da grande tifoso del Brambilla medio, considero il Francesco-pensiero un segnale di stima verso la categoria dei risk takers, un riconoscimento outstanding del ruolo dell’impresa, una legittimazione autorevole del “luogo” dove si generano posti di lavoro (o si prova a difenderli).
Chi conosce gli imprenditori, ben sa cosa c’è nella loro giornata tipo, segnata dalle opportunità da catturare, dalle decisioni da prendere, dai problemi da risolvere …. e nella notte tipo, condizionata dalle preoccupazioni sui debiti, sulle manovre dei concorrenti, sul costo dell’energia, sulla carta bollata da compilare, ……… E conosce altresì le “domande del mestiere”: investo o no? Cresco o mi ridimensiono? Collaboro con altri o vado da solo? Il messaggio deve essere chiaro e forte: a domande di tale tenore rispondono gli imprenditori, con i fatti, sempre e comunque. Sono loro che “costruiscono lo stipendio” dei loro operai. Sono loro, per dirla con le parole del Papa, che conoscono “l’odore” del lavoro.
Non tutti in Italia la pensano così, tant’è vero che Bonomi stesso ha lanciato un grido d’allarme: “Avvertiamo un totale disinteresse per l’importanza del valore creato dalle imprese stesse”. C’è tutto un mondo che, parlando di creazione di posti di lavoro, si riempie la bocca di slogan e di mantra (navigators docet), spara tweet e post senza fondamento. Vi appartiene chi non ha stima dell’impresa, chi non ne riconosce la missione competitiva e sociale, che non si impegna per indagarne i meccanismi di funzionamento, i problemi gestionali, le dinamiche esterne. Un dato dal particolare valore segnaletico, tratto da una ricerca recentemente condotta da GPF Inspiring Research per conto di Economy. Ben più della metà degli intervistati (circa 400 persone) considera le piccole e medie imprese non particolarmente rilevanti per la crescita virtuosa del Paese. Non solo, ma quasi l’80% del campione ritiene che la tenuta del modello economico italiano in questi anni difficili derivi dalle agevolazioni, e dalle manovre europee …. non dalla capacità di reazione delle imprese.
Qualche centinaio di persone non rappresentano una Nazione. Fanno però riflettere, rimettendo sul tavolo la vexata quaestio a sfondo cultural-ideologico che ci trasciniamo da decenni: siamo un Paese pro o contro l’impresa, l’intrapresa, l’industria, la concorrenza….?
Rispondo per le rime: possiamo permetterci il lusso di essere contro? Assolutamente no! Torno a dove sono partito: c’era bisogno del Papa per ricordarcelo? Probabilmente no, ma ben venga che lo abbia fatto!
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