La “spalla del Gigante” sta guarendo, anche se il suo destino è segnato e la fine si avvicina, seppur con i tempi dilatati che regolano l’universo. Stiamo parlando in arabo? In fondo sì, perché il riferimento è a Betelgeuse, una supergigante rossa, la seconda stella più luminosa della costellazione di Orione (la batte solo Rigel). Il suo nome deriva dal termine Yad al-Jawzà: ascella o spalla del Gigante, appunto.
Se di notte, preferibilmente nel periodo tra novembre e maggio quando la costellazione si trova a cavallo dell’equatore celeste ed è visibile da quasi tutti i luoghi della Terra, avete cercato l’inconfondibile forma di Orione, avrete scovato, oltre alla celebre cintura, Beltelgeuse: è al vertice nord-orientale e spicca per il suo colore arancione intenso, che contrasta con l’azzurro delle altre stelle di quest’area.
Ebbene, in queste settimane il telescopio spaziale Hubble, gestito dalla Nasa e dall’Esa, l’Agenzia Spaziale Europea, sta assistendo “live” alla ripresa dell’astro da un evento catastrofico avvenuto nel 2019. Una brutale esplosione ha fatto perdere un’ampia porzione della sua superficie disperdendo nello spazio una massa 400 miliardi di volte più grande di quella emessa in un tipico brillamento solare. Una “ferita” tremenda: interpretando quanto raccolto da Hubble e da altri dispositivi, gli scienziati sono arrivati alla conclusione che si era creato un pennacchio di polvere espulsa del diametro di oltre 1 milione di miglia, pari a 1,6 milioni di chilometri. E’ davvero difficile, per i nostri parametri, avere un’idea della potenza di questo terremoto stellare.
È stato un evento terribile e inedito. Lo ha raccontato uno studio pubblicato su “The Astrophysical Journal” e coordinato dal “Centro statunitense Harvard-Smithsonian per l’Astrofisica”. Andrea Dupree era alla guida del gruppo di esperti e non ha nascosto la sua sorpresa: «Non abbiamo mai visto un’enorme espulsione di massa dalla superficie di una stella; abbiamo per le mani qualcosa che non comprendiamo completamente. Però questo nuovo scenario ci permette di guardare in tempo reale l’evoluzione di Betelgeuse». Ovvero la guarigione, come detto.
L’eruzione ha fatto saltare un pezzo dell’atmosfera inferiore della stella – la fotosfera – lasciando dietro di sé un punto fresco che è stato ulteriormente occluso dalla nube di polvere dall’esplosione. La parte espulsa della superficie, con un peso diverse volte maggiore di quello della Luna, si è allontanata nello spazio e si è raffreddata per formare una nube di polvere che ha bloccato la luce della stella, causandone il parziale oscuramento.
Inoltre, prima dell’eruzione, la supergigante rossa aveva un modello pulsante, attenuandosi e illuminandosi su un ciclo di 400 giorni. Questa caratteristica è ora scomparsa, o in subordine sospesa. «È possibile – sottolinea Dupree – che le cellule di convezione all’interno della stella stiano ancora scivolando intorno, interrompendo questo schema. L’atmosfera esterna della stella potrebbe essere tornata alla normalità, ma la sua superficie potrebbe ancora oscillare».
In un primo tempo gli scienziati avevano ipotizzato che la stella, distante 530 anni luce dalla Terra, si stesse avvicinando alla fine: pare invece che la violenta eruzione non sia un segnale di questo evento. Conferma piuttosto che le vecchie stelle perdono massa. Ma nemmeno la “spalla del Gigante” non sfuggirà al capolinea: al termine della sua vita stellare esploderà in una supernova visibile anche dal nostro pianeta. Tra quanto accadrà? Approssimativamente, 100 mila anni: così dicono gli scienziati. Campa cavallo, allora…
Da Corriere.it
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