Volevo scrivere d’altro. Poi la notizia della morte della regina Elisabetta mi ha spiazzato e improvvisamente mi è sembrato che ogni altra riflessione fosse insignificante. Sono rimasta per un po’ combattuta tra un’inspiegabile tristezza che mi induceva a parlare di lei e il fastidio per l’immancabile chiacchiericcio che aveva cominciato subito a diffondersi sui canali televisivi e sulle pagine dei social, e a cui non volevo unire anche la mia voce.
Riflettendo, però, ho capito: non era di lei che avvertivo il bisogno di parlare, ma di me, del motivo di quella tristezza. Quando muore una persona che ci ha accompagnato per un tratto di strada, non è per lei che piangiamo, ma per noi stessi, per la parte di noi che se ne va, per la consapevolezza che non saremo più come prima. E tuttavia mi stupiva la mia emozione per la scomparsa della regina, che, oltretutto, non mi era particolarmente simpatica, sempre così distaccata, rigida, tanto da apparire, a volte, fredda e indifferente.
Poi mi sono resa conto che è solo l’ultima di una serie di persone note che sono morte nei due anni passati e che, anche se non le ho conosciute direttamente, appartenevano al mio orizzonte quotidiano e, in un modo o nell’altro, mi hanno dato inconsapevolmente qualcosa: alcune mi hanno fatto riflettere sull’importanza di occuparmi dei miei simili, altre mi hanno fatto scoprire il fascino della scienza o il valore della bellezza; con alcune ho riso, pianto, indagato la complessità dell’animo umano; altre ancora mi hanno fatto apprezzare la forza di volontà nel perseguire i propri sogni anche a prezzo di grandi fatiche. Quelle che mi stavano antipatiche mi hanno indotto ad approfondire le mie emozioni e a chiarirmi il perché.
Cito solo qualche nome – e mi scuso se lo faccio alla rinfusa, senza rispettare competenze o improbabili gerarchie. Franca Valeri, Luis Sepúlveda, Ezio Bosso, Ennio Morricone, Quino, Sean Connery, Gigi Proietti, Maradona, Paolo Rossi, Monica Vitti, Carla Fracci, Raffaella Carrà, Gino Strada, Mikhail Gorbaciov, Piero Angela, Franco Battiato… Ognuno di loro, a suo modo, ha lasciato un segno nella nostra epoca ed ha contribuito a costruire il panorama in cui ho vissuto.
Perciò mi rattrista sempre la notizia di una morte, anche se chi muore ha vissuto lontanissimo da me: non perché temo che si avvicini la mia sparizione dal quadro, ma per il venir meno progressivo di ogni parte del paesaggio che mi ha circondato – e, in fondo, definito – per tutta la vita. Ho l’impressione di trovarmi in uno di quei video digitali i cui elementi vengono fatti sparire uno dopo l’altro, finché l’ultimo rimasto non ha più un significato.
E’ una strana sensazione di sgomento che nasce dal dover vivere senza la loro presenza, rassicurante solo per il fatto di esserci; è l’accorgersi di restare isolati e capire in quel momento – sempre troppo tardi – che nessun uomo è un’isola.
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