In campagna elettorale se ne sentono tante. Così dalla bocca di Giorgia Meloni, data per favorita alle elezioni del 25 settembre, escono frasi aggressive come “sono un soldato” e “questo Paese va rivoltato come un calzino” e dichiarazioni distensive come “sono in modalità monaco tibetano”. Oppure dichiarazioni sprezzanti: “Sogno una nazione nella quale per essere un buon docente non devi avere la tessera della Cgil”. Immediata la replica del presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo: “Ricordo all’on. Meloni che l’unico periodo storico in cui era necessario avere una tessera per fare carriera fu il ventennio”.
“Nel 1931 – ricorda Pagliarulo – il fascismo impose ai professori universitari di prestare questo giuramento: “Giuro di essere fedele al Re, ai suoi Reali successori e al Regime Fascista, di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato, di esercitare l’ufficio di insegnante e adempiere tutti i doveri accademici col proposito di formare cittadini operosi, probi e devoti alla Patria ed al Regime Fascista. Giuro che non appartengo né apparterrò ad associazioni o partiti, la cui attività non si concilii coi doveri del mio ufficio”. Ne fecero le spese dodici insegnanti che ebbero il coraggio di rifiutare il diktat e persero il lavoro.
Dodici docenti “ribelli” sui 1.225 titolari di cattedra, appena l’uno per cento. Tra loro Ernesto Bonaiuti (1881-1946), sacerdote e intellettuale antifascista, professore alla Sapienza di Roma e storico del cristianesimo che fu poi scomunicato da Pio XI per le idee moderniste (fondate sull’esigenza di ritornare allo spirito del cristianesimo primitivo e di sviluppare in libertà la ricerca scientifica e storica sulle fonti sacre). Un principio che si andava affermando nel mondo protestante e spaventava il Vaticano. Una “accusa” che qualcuno muove oggi anche a papa Francesco. La Storia è spesso maestra di vita ed è il caso di rifletterci.
A chi si domanda che aria tiri nel mondo cattolico in vista delle urne e quale sia l’atteggiamento da tenere di fronte all’articolo 48 della Costituzione che chiama i cittadini a votare, la risposta delle istituzioni ecclesiastiche è univoca. Il pontefice raccomanda di non “stare a guardare dal balcone”, il segretario di Stato Pietro Parolin invita “a tornare a esprimere la propria posizione all’interno del dibattito politico” e il presidente dei vescovi Matteo Zuppi ribadisce che “l’impegno civico è parte integrante del vissuto cristiano, il voto è un diritto e un dovere di tutti i cittadini e la Chiesa è per la libertà di coscienza, non certo per la libertà dell’indifferenza”.
Il voto cattolico rappresenta milioni di consensi che le forze politiche cercano di accaparrarsi promettendo di salvaguardare l’identità cristiana. Tentativi di avvicinamento, mani tese, atti di contrizione, sfoggio di simboli religiosi: in passato si è visto di tutto. È certo che chi vuole assicurarsi il “sì” dei cattolici deve rapportarsi a una realtà complessa, alla Chiesa di Francesco che mette in discussione sé stessa ed è in continuo movimento. Alla ricerca in fondo della parola del Vangelo, una parola scomoda che talvolta disorienta gli stessi fedeli. Se è vero che l’astensione è il primo partito dei cattolici, allora votare può avere effetti decisivi.
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