l voto del 25 settembre si avvicina e, come ormai sempre accade, si torna a parlare dell’astensionismo; in particolare dell’astensionismo giovanile. A fine agosto, YouTrend prevedeva un’affluenza alle urne del 65%: sarebbe la più bassa mai registrata nella storia repubblicana per delle elezioni parlamentari. Per quanto riguarda i giovani, un sondaggio di Swg prevede che solo il 48% degli under-35 andrà a votare il 25 settembre.
Le cause di queste percentuali sono molteplici e complesse, ma in generale il dibattito oscilla tra due posizioni estreme: è colpa dei giovani o è colpa dei politici. Dei giovani, perché non si interessano alla politica; dei politici, perché non si interessano ai giovani. La verità, come sempre, sta probabilmente nel mezzo.
Molti ragazzi dicono di non sentirsi rappresentati da nessun leader o partito politico. In effetti non è facile sentirsi rappresentati da Berlusconi, che dopo l’arrivo su TikTok è stato paragonato al signor Burns dei Simpson, un ultra-centenario che in un celeberrimo episodio indossa un berretto e parla in slang per sembrare un giovane studente, risultando però solo ridicolo. Non è facile sentirsi rappresentati da Calenda, anch’egli appena sbarcato sul popolare social network. Nel suo primo video, si ha l’impressione che stia parlando a un’orda di bambini stupidi piuttosto che a un pubblico di giovani adulti e futuri elettori.
Scherzi a parte, questi aneddoti spiegano qualcosa sull’astensionismo giovanile? Forse che alcuni leader hanno una percezione distorta sugli usi e costumi dei giovani. Ma di certo non bastano a capire perché il 25 settembre un giovane su due non andrà a votare.
Il disagio da non rappresentanza non è una novità. I giovani sessantottini non si sentivano rappresentati dalle forze politiche allora dominanti. Il problema non erano semplicemente i politici, ma un intero sistema di valori che era diventato asfissiante per i nati nel dopoguerra. Allora, la risposta a questo disagio fu contestare e occupare; oggi, la risposta sembra essere non votare. Perché?
I giovani non riescono a identificarsi con le attuali forze politiche e l’elettorato è molto più fluido; la militanza fra le file dei partiti è sempre più rara. Tuttavia, milioni di ragazzi sono scesi per strada in occasione degli scioperi e delle manifestazioni per l’ambiente, tema generazionale per eccellenza. Una buona mobilitazione si era avuta anche con le raccolte firme per i referendum su cannabis ed eutanasia.
La partecipazione giovanile sembra dunque essere fortemente concentrata su temi specifici, come l’ambiente. Quanto pesano sull’astensionismo le proposte e i programmi dei partiti? «Sviluppo sostenibile e transizioni ecologica e digitale» è uno dei «tre pilastri» nel programma del PD; anche Sinistra Italiana e i Verdi vi dedicano molta attenzione. Su questo tema, è piuttosto netta la differenza con il centrodestra e in particolare con la Lega, che nel programma scrive di essere «contro il catastrofismo e il conformismo sradicante dell’ecologismo globalista». Eppure questo non sembra smuovere più di tanto i giovani elettori, sebbene il PD risulti essere al momento il partito più gradito tra i giovani.
Spesso manca una visione politica generale, che unisca, per esempio, la tutela dell’ambiente con la giustizia sociale. Manca una cultura politica, un’educazione civica, oggi più che mai necessaria. Se un tempo questo ruolo era assolto dai partiti e dalle giovanili, dalla Chiesa e dalle associazioni, oggi i giovani sono molto più indipendenti nella loro formazione politica. Questa indipendenza non è un male, ma porta con sé i rischi di una sempre maggiore tendenza alla ricerca di soluzioni individuali anziché condivise.
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