La competizione politica non è una partita di calcio, ma al suo arbitro ultimo, il popolo sovrano chiamato alle urne, sarebbe utile poter disporre di quell’aggeggio chiamato VAR. Non c’è, ma una ricostruzione parziale possiamo tentarla, risalendo, come capita anche nella partita di calcio, all’inizio dell’azione.
Nessun partito si assume la responsabilità dell’accaduto, ma tutti, al seguito dell’opinione pubblica guidata da giornali, televisioni e finanza, si uniscono al rimpianto per il caro esiliato e promettono di continuarne l’agenda.
La prima causa da valutare è la scissione del M5S. La scelta di Di Maio appare sciagurata e incomprensibile. Il risultato è un auto-annientamento, possibile sia stato voluto solo per aggirare il divieto di ricandidatura? La domanda è: chi ha voluto la scissione e ha offerto una garanzia politica al suo autore? Lo scopo della scissione era comunque chiaro: offrire a Draghi una sponda provvisoria per portare a termine la legislatura, con un appoggio numericamente adeguato in Parlamento, anche dopo la prevedibilissima ritirata del M5S di Conte. Non Draghi, che ha rifiutato di proseguire senza l’appoggio del M5S di Conte, più probabilmente Letta (l’indizio è il salvataggio postumo del neo moderato-progressista Di Maio), però mi sembra strano che Mattarella non ne fosse informato e consenziente.
La stranezza aumenta nella fase successiva: il salvagente della legislatura si trasforma in detonatore della sua esplosione: Draghi non ci sta a proseguire senza Conte, perché? Non è facile spiegarlo: non la stanchezza evocata da Berlusconi, forse la delusione per la mancata elezione a Presidente, forse il tentativo di evitare le velleità di spesa elettoralistica di tutti i partiti, i cui interessi contrapposti, avrebbero comunque fatto saltare la legislatura.
Né Mattarella né Letta erano favorevoli alle elezioni, tanto invocate invece da Meloni, ma… Cominciamo dal Presidente della Repubblica, che rimanda alle Camere il Presidente del Consiglio che lamenta di avere sì ricevuto una fiducia (non una sfiducia) ma dimezzata dall’assenza di alcuni protagonisti, da Lui ritenuti essenziali (il troncone di Conte). Il significato di questo gesto è duplice: “guarda che hai una maggioranza, prosegui”; oppure: “fatti certificare la sfiducia, visto che entrambi vogliamo sciogliere le Camere e cerchiamo di lasciare il cerino acceso nelle mani del nemico”. Per la verità ci sarebbe stata una terza soluzione: verificare con le consultazioni di rito e magari con un po’ di moral suasion, la possibilità di una maggioranza che continuasse la legislatura, ipotesi che, stranamente, Mattarella si è ben guardato di attuare. Perché?
C’è poi la questione della mozione di fiducia. Normalmente la mozione di fiducia viene preparata collegialmente dai rappresentati dei partiti che intendono ottenerla e viene sottoscritta dai capigruppo degli stessi, quindi porre la fiducia sulla mozione di Casini, l’ultimo dei mohicani, e non su un documento dai capigruppo della maggioranza, tira uno sgambetto in area di rigore ai partiti del centrodestra governativo e li spinge nelle braccia di Meloni e della sua diuturna richiesta di elezioni. Perché? Un clamoroso errore o un passaggio voluto per drammatizzare le elezioni, ridividendo il campo tra democratici –progressisti-antifascisti contro populisti-parafascisti?
In conclusione, il tentativo di rintracciare un minimo di razionalità nei comportamenti dei principali attori approda alla loro scelta di ancorarsi al bipolarismo, che permette a ciascuno di restare egemone del proprio campo. I piccoli che invece avrebbero tratto beneficio dal passaggio al sistema proporzionale, si accodano, buon viso a cattivo gioco, per salvare la sopravvivenza del leader e di pochi altri. Il bipolarismo maggioritario significa anche l’intento di soffocare nella culla la rinascita di un Centro, che avrebbe avuto in Renzi il promotore e in Draghi un riferimento naturale.
Se l’esito non sarà quello scontato, dipenderà solo da una disincantata riflessione degli elettori- arbitri, se saranno capaci di essere giudici leali dei fatti e non tifosi.
Costante Portatadino, con la collaborazione di Sebastiano conformi e Onirio Desti
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