Dopo le passeggiate pubblicitarie in Danimarca il Giro ciclistico d’Italia è rientrato a casa ad animare le folle di appassionati che si affacciano sulle nostre strade. Lasciamo ad altri le giuste critiche agli organizzatori della gara per alcuni arrivi con caduta finale incorporata. Per soddisfare le manie di certi ras locali sponsor della tappa, si creano situazioni assai pericolose mettendo a repentaglio la incolumità dei corridori. Ci auguriamo soltanto che non ci scappino danni irreversibili per gli atleti e che per il futuro la sicurezza abbia maggiormente a prevalere sugli interessi di bottega.
Non ci resta che aspettare pieni di buone speranze il Giro che il 22 maggio farà tappa nella vicina Busto Arsizio. Intanto torniamo ai ricordi dei varesini “visti da vicino”, protagonisti in passato della magnifica avventura ciclistica . Possiamo incominciare dal primo e dal più grande “girino”, se non altro per le difficoltà e l’impegno richiesto da una corsa massacrante quale fu quella del lontano 1909: Luigi Ganna. Ricordo un omone massiccio, in piedi a lato del Viale Belforte, davanti al giardino della villa confinante con la sua fabbrica di biciclette, che invece aveva l’accesso dalla retrostante via Tonale. Luogo di lavoro ed abitazione, un tutt’uno un tempo per la gran parte dei nostri imprenditori. Quando l’ho conosciuto ero poco più che un ragazzo che abitava poco lontano, sullo stesso viale della periferia varesina. Un ragazzo che lo osservava con deferenza conoscendone il grande passato di atleta. Non che Luigi Ganna disdegnasse la conversazione coi belfortesi, tempo ne aveva perché alla fabbrica pensavano ormai il Tino ed i nipoti. Una bella officina che produceva biciclette di successo e dove vi lavoravano una ottantina di operai. Anche di più, in periodi di punta. Ho avuto modo di mettere naso nei reparti come amico del coetaneo figlio del portinaio. Le biciclette prendevano vita come d’incanto. Dai tanti tubi Manesmann, tagliati su misura e saldati nelle “pipe”, nascevano i telai, il vero corpo del prodotto, che via via si vestiva degli altri componenti e di tutti gli accessori.
Il signor Luigi era entusiasta dell’impresa che aveva creato. Immaginiamoci quando riuscì addirittura a vedere il suo nome scritto sulle maglie della squadra che partecipava con successo anche ai Giri d’Italia. La fabbrica era il vero motivo d’orgoglio e delle conversazioni che avviava, dopo avere acquistato la immancabile rosea Gazzetta ed il Corriere alla rivendita di giornali del “Trombetta”. Quella posta in un seminterrato al di là del viale, quasi davanti alla sua casa. Era il “Trombetta” conosciutissimo in tutto il quartiere. Alla domenica visitava cortile per cortile giungendo in bicicletta con la cassetta dei giornali. Una modesta figura di altri tempi, offeso ad un occhio che teneva coperto da una pezzuola nera che il pensiero di noi ragazzi rimandava ai pirati. Per annunciare il suo arrivo il giornalaio dava fiato ad una trombetta da ferroviere ed urlava “Ghè chì la Pepina”, che ovviamente era la Cronaca Prealpina, la più richiesta. Ma il suo arrivo faceva felici anche i bambini, per nulla intimoriti da quella pezza nera sul volto perchè, dopo tutto, il “Trombetta” portava anche il “corrierino”, regalo festivo dei genitori. Per i più buoni.
Se il signor Luigi poteva apparirmi un’icona inarrivabile per l’aureola sportiva che lo cingeva, non così era a quel tempo il rapporto col “Gusto” l’Augusto Zanzi anch’egli protagonista varesino di tanti Giri. Il suo negozio di ciclista in via Veratti, al civico numero 30, l’aveva aperto appena ultimata la carriera di corridore grazie alla Edoardo Bianchi che gli aveva affidato la rappresentanza cittadina delle sue biciclette. Un giusto riconoscimento per il serio apporto di gregario che per alcuni anni il Gusto aveva dato alla squadra Bianchi nel corso di tante gare, sopratutto come sicura spalla del campione Giuseppe Olmo. In poco tempo grazie al carattere dell’uomo che qui lavorava, alla simpatia che emanava pur mostrandosi burbero, quel negozio divenne punto d’incontro e di frequentazione soprattutto di molti giovani varesini studenti ed operai di ogni ceto sociale.
Era un trovarsi tra amici in buona compagnia per i quali era di secondario intento la riparazione e la vendita di biciclette pure motivo di sostentamento e di vita del Gusto. Eravamo felici di incontrare in negozio affermati campioni come l’Adolfo Leoni, un bel ragazzo reatino vincitore di tante volate (e mancato troppo presto ) o il Luigi Casola, altro velocista bustese finito addirittura a dirigere il Velodromo di Città del Messico ai tempi del record dell’ora di Moser. Uomini della Bianchi che ritenevano quasi un rito fare visita ad un vecchio alfiere della squadra quale era stato il Gusto ma anche corridori della… concorrenza come il Severino Canavesi o il Mario Ricci che correvano per altre formazioni.
Il Gusto oltre a mani d’oro nel centrare ruote aveva grandi doti di affabulatore. Per questo non era difficile farlo parlare del Giro d’Italia, lui che ne aveva fatto parecchi prima come indipendente e poi come professionista nella squadra della Bianchi. Sapevamo quale corda del suo cuore toccare : i mancati incassi di premi per promesse non mantenute. Così si scatenavano i ricordi delle varie fughe, ricordi che per il Gusto erano ancora freschissimi soprattutto di quando si trattava di buggerature subite. “Cento lire per te, se mi dai un aiuto a portarmi al traguardo “. Quante volte questa offerta l’ha ricevuto il Gusto, soprattutto da indipendente. Al Giro ed anche al Tour. Cose normali le combine tra corridori. E quante volte la promessa non è stata mantenuta! Era divertente sentire il Gusto elencare ancora i suoi crediti… inesigibili. E punzecchianti le nostre sottolineature. Ovviamente i corridori conoscevano i “pufatt”, gli incalliti cialtroni. Da evitare. Ma qualche nuovo imbroglione poteva sempre capitare.
A parte questi ricordi narrati con tanti particolari, il Nostro era un ineguagliabile buontempone, organizzatore di divertentissime “bischerate”. In settimana veniva di solito stabilito il programma della biciclettata domenicale. Un misto tra la gita, il divertimento ed il sano agonismo. Protagonisti una ventina e talvolta più ciclisti di diverso rango: ex corridori, corridori allievi o dilettanti liberi da impegni, amatori di varia età capitanati dall’immancabile Gusto e dal fratello Battista. Si partiva da via Veratti nel primo pomeriggio col Gusto che aveva ancora il boccone in gola, appena sceso da casa sua al secondo piano dello stesso palazzo, dopo avere lavorato tutta la mattinata. Partenza vociante ed allegra, tutti con bici da corsa ed ovviamente abbigliamento tipo professionale.
Il Gusto amava tanto questo divertimento domenicale per le poche ore che lo portavano fuori dal suo angusto laboratorio del retro del negozio. Poteva sgranchirsi le gambe e dare spazio al suo desiderio di “capitano”, del resto indiscusso. Le mete cambiavano di volta in volta. Poteva essere il luogo d’arrivo di una corsa di dilettanti alla quale partecipava qualcuno dei nostri, per dargli sostegno. Oppure Santa Caterina del Sasso, la grotta del Rameron con castagnata, i luoghi della battaglia del San Martino. Bene o male il giro comprendeva sempre qualche salita classica, la Grantola, il Marchirolo, il Viggiù, il Brinzio o il Sasso. Alla partenza venivano sempre dichiarati i “traguardi volanti” dove le volate si svolgevano al passaggio del cartello stradale posto all’ingresso del paese prescelto. Naturalmente contava di più chi giungeva primo al traguardo finale, cioè quello idealmente posto al ritorno in via Veratti dinanzi al negozio. Non mancavano le contestazioni, sempre divertite e divertenti con strascichi che si protraevano per tutta la successiva settimana. Talvolta si organizzava una bischerata di troppo a scapito dei residenti di qualche paese. Qualcuna mi è rimasta impressa nella mente perchè la cosa poteva finire assai male. Fu quando decidemmo di buggerare quelli di Rancio Valcuvia. C’è da dire che le strade dell’alto varesotto erano domenicalmente teatro di corse ciclistiche ufficiali minori, di sagre di paese, di amatori. Il tutto suscitava interesse e divertimento tra bambini ed adulti dei luoghi attraversati. Ebbene quella volta un gruppetto di noi, mandato in avanscoperta, arrivò a Rancio e trovati alcuni ragazzini chiese loro se fosse già passata la corsa. “Non ancora? Allora i corridori saranno qui tra poco”. Detto fatto in pochi minuti mezzo paese si trovò schierato lungo la strada allertato dal passavoce con la rapidità del fulmine. Ecco quindi giungere il Gusto con tutto il resto della nostra banda. Un gruppo di ciclisti vociante e simulante un acceso confronto. Un successo. Se non che noi protagonisti dell’avanguardia burlona schierata tra il pubblico, sentimmo ad un tratto una voce tuonante, irata, non certo rassicurante: ” Balandràn, lè mia ‘na cursa… i gàn mia ul noumar su la schena !” ( non è una corsa, non portano il numero sulla schiena). Si sentivano truffati. Meglio saltare in bicicletta, allontanarsi velocemente e non transitare più da Rancio per un po’ di tempo!
Quella dei Zanzi fu una grande famiglia che andava ben oltre la moglie signora Nella e le figlie Nanda, Corinna e Renata. Fu un meraviglioso sodalizio di uomini solidali capaci di trovare, anche in tristi momenti del nostro Paese, un’ampia convergenza negli ideali antifascisti della Resistenza. Quel negozio, come è noto, fu un importante punto di riferimento dei partigiani varesini.
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